Secondo i modernisti, dal sentimento scaturisce fede e rivelazione.
Quell’Inconoscibile di cui parlano non si presenta come qualcosa di nudo o isolato, ma strettamente congiunto ad un qualche fenomeno (che può essere un fatto qualsiasi della natura, misterioso, oppure anche un uomo, le cui parole, i cui gesti, il cui carattere non si adattano alle leggi ordinarie della storia) che, sebbene appartenga al campo scientifico e storico, tuttavia ne oltrepassa i confini.
E allora la fede, attratta dall’Inconoscibile racchiuso in quel fenomeno, lo abbraccia completamente e lo permea nella sua vita.
Da questo “abbraccio” seguono due cose:
1. Una certa trasfigurazione del fenomeno, una particolare elevazione sulle sue reali condizioni, onde diventa più adatto, come materia, ad assumere la forma del divino che la fede vi introdurrà.
2. Una certa sfigurazione, nata dal fatto che la fede, avendo tolto al fenomeno tutte le circostanze di tempo e di luogo proprie della materia, gli attribuisce dunque quello che non ha di fatto.
Questo avviene per i modernisti soprattutto per i fenomeni di antica data, e tanto più quanto più sono remoti.
Da questi due principi, i modernisti traggono due canoni, che, uniti ad un terzo derivante dall’agnosticismo, costituiscono il fondamento della critica storica.
Facciamo un esempio utilizzando questi “canoni”, o queste leggi: prendiamolo dalla persona di Cristo.
Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovano nulla al di là dell’uomo. Dunque, in base al primo canone dettato dall’agnosticismo, si deve demolire tutto ciò che in Lui sia di divino. Dopodiché, in forza del secondo canone, la figura di Cristo è stata trasfigurata dalla fede; pertanto bisogna spogliarla da tutto ciò che la eleva sopra le condizioni storiche. Infine, in forza del terzo canone, la persona di Cristo è sfigurata dalla fede; bisogna così rimuovere da essa i discorsi, le azioni o comunque tutto ciò che non corrisponde al suo carattere, alla sua educazione, al luogo e al tempo in cui visse.
Da questi due principi, i modernisti traggono due canoni, che, uniti ad un terzo derivante dall’agnosticismo, costituiscono il fondamento della critica storica.
Facciamo un esempio utilizzando questi “canoni”, o queste leggi: prendiamolo dalla persona di Cristo.
Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovano nulla al di là dell’uomo. Dunque, in base al primo canone dettato dall’agnosticismo, si deve demolire tutto ciò che in Lui sia di divino. Dopodiché, in forza del secondo canone, la figura di Cristo è stata trasfigurata dalla fede; pertanto bisogna spogliarla da tutto ciò che la eleva sopra le condizioni storiche. Infine, in forza del terzo canone, la persona di Cristo è sfigurata dalla fede; bisogna così rimuovere da essa i discorsi, le azioni o comunque tutto ciò che non corrisponde al suo carattere, alla sua educazione, al luogo e al tempo in cui visse.
[Davvero sbalorditivo questo modo di ragionare... ma questa è la critica dei modernisti]
Dunque, secondo i modernisti il sentimento religioso sarebbe il germe vitale e la spiegazione di ogni religione. Tutte le religioni deriverebbero dunque da un sentimento rozzo all’inizio, e quasi informe, che poco per volta è cresciuto insieme al progresso della vita umana, della quale - si è detto - è una forma. E così vale per tutte le religioni, anche se si dicono soprannaturali.
E nessuno pensi di fare un’eccezione per la religione cattolica, anzi, è da mettere alla pari insieme a tutte le altre! La religione cattolica avrebbe avuto inizio, per i modernisti, nella coscienza di Cristo e sarebbe nata nella sua coscienza per un processo di immanenza vitale. Che audacia! Che bestemmia! Stupiranno certamente coloro che udiranno queste cose per l’audacia di tali asserzioni e per un tale sacrilegio!
Tuttavia, il Santo Padre, addolorato, rispose - a chi diceva che solamente gli increduli potevano parlare in tale modo - che “queste asserzioni non sono temerariamente pronunciate da increduli. Persone cattoliche, anzi molti sacerdoti, le affermano apertamente. Con tali follie si vantano di riformare la Chiesa!”.
Con tali affermazioni, si afferma infatti che la nostra santissima religione è prodotta spontaneamente per se stessa dalla natura. Niente è più adatto di questo per sopprimere ogni ordine soprannaturale.
Per tale motivo, dal Concilio Vaticano (primo) fu giustamente sancito: Se qualcuno dirà che l’uomo non può essere divinamente elevato ad una coscienza e ad una perfezione che superino quelle naturali, ma che può e deve per se stesso arrivare al possesso di ogni verità e di ogni bene in un continuo progresso, sia anatema.
Fin qui, non abbiamo ancora visto la dottrina modernista dar spazio all’intelletto umano. Tuttavia, per loro, anche la mente ha la sua parte nell’atto della fede. Però bisogna osservare in che modo.
In quel sentimento a cui abbiamo già spesso accennato, i modernisti dicono che, poiché è soltanto sentimento e non conoscenza vera, Dio si presenta all’uomo in modo così confuso e nebuloso che può essere distinto a malapena o per nulla dal soggetto credente. E’ necessario dunque illuminare lo stesso sentimento con un certo raggio di luce, per poter farne uscire completamente e separatamente Dio dal soggetto che lo pensa. Questo è compito dell’intelletto, che per sua natura analizza e distingue tutto. Da qui il detto popolare dei modernisti: L’uomo religioso deve pensare la sua fede.
In questa elaborazione, la mente opera con due procedimenti:
1. Prima, con atto naturale e spontaneo, esprime la propria nozione con parole semplici e correnti.
2. Secondo, con maggiore riflessione e approfondimento, o come dicono perfezionando il pensiero, esprime le cose pensate con proposizioni secondarie, derivanti dalla prima più semplice ma maggiormente limate e definite.
Eccoci dunque arrivati all’origine del dogma per i modernisti: secondo quello che sembrano affermare, le formule secondarie costituiscono il dogma. Ma la natura di tale dogma è da cercarsi nella relazione che esiste tra le formule religiose e il sentimento religioso dell’anima. Scopriremo ben presto che il fine di tali formule non è altro che dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Tali formule stanno in mezzo tra il credente e la sua fede, e costituiscono riguardo all’uno degli strumenti (veicoli della verità adattabili all’uomo), riguardo all’altra dei simboli (immagini della verità adattabili al sentimento).
Conseguentemente, per nessuna ragione si può sostenere che esse esprimano con assoluta certezza la verità.
Sostengono infatti i modernisti che un’evoluzione e un mutamento dei dogmi non solo sono possibili, ma devono essere conseguenza legittima delle dottrine.
Infatti, tra i fondamenti principali della loro dottrina c’è quello dell’immanenza vitale: le formule religiose perché siano religiose e non solo speculazioni intellettuali, devono essere vitali, e dunque vivere la stessa vita del sentimento religioso.
[Non importa dell’origine delle formule, come pure del loro numero o della loro quantità; è necessario che la formula primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e poi, sempre sotto la guida del cuore, avvenga l’elaborazione, dalla quale sono generate le formule secondarie.]
Poiché il valore e la sorte di queste formule dogmatiche sono instabili, non c’è da stupirsi se esse siano oggetto di disprezzo e di ludibrio da parte dei modernisti, che al contrario non parlano e non esaltano altro che il sentimento religioso e la vita religiosa.
Pertanto criticano la Chiesa con somma audacia come se camminasse per una strada sbagliata, perché non sa distinguere dall’esteriore senso delle formule la vera forza religiosa e morale, e attaccandosi con ostinazione a formule prive di significato, permette che venga distrutta la religione.
Il giudizio definitivo che si deve dare sui modernisti in ciò che riguarda la verità dei dogmi è:
Sono ciechi e guide di ciechi che, tronfi del nome superbo della scienza, giungono a tal punto di pazzia da pervertire l’eterno concetto della verità e il genuino senso della religione; trovato un nuovo sistema per mezzo del quale, con spregevole e sfrenato desiderio di novità, la verità non viene cercata dove si trova con certezza, ma trascurate le sante e apostoliche tradizioni, si accettano altre dottrine inutili, futili, incerte e non approvate dalla Chiesa, dalle quali uomini stoltissimi credono a torto che la stessa verità sia sorretta e sostenuta.
(Veronica Tribbia - Dal catechismo sul modernismo secondo l’enciclica “Pascendi” di papa S. Pio X)
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