RILEGGIAMO IL CONCILIO DI TRENTO - 12/IL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL'EUCARESTIA (SECONDA PARTE)

CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL'EUCARESTIA
 
1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che nel Santissimo Sacramento dell’Eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, - sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che nel venerabile Sacramento dell’Eucarestia, fatta la separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in ognuna delle parti di ciascuna specie, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile Sacramento dell’Eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.

5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della Santissima Eucarestia è la remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che nel Santo Sacramento dell’Eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la Santa Eucarestia nel tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’Eucarestia, si mangia solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema.

9. Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia anatema.

10. Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se stesso, sia anatema.

11. Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il Sacramento della Santissima Eucarestia, sia anatema.

E perché un così grande Sacramento non sia ricevuto indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo sinodo stabilisce e dichiara che quelli che hanno la consapevolezza di essere in peccato mortale, per quanto essi credano di essere contriti, se vi è un confessore, devono necessariamente premettere la confessione sacramentale.

Se poi qualcuno crederà di poter insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o anche difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia scomunicato.

Decreto di riforma.

Lo stesso santo concilio Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della sede apostolica, volendo stabilire alcune norme sulla giurisdizione dei vescovi; perché essi, conformemente al decreto dell’ultima sessione, tanto più volentieri risiedano nelle chiese loro affidate, quanto più facilmente e opportunamente possono governare e contenere i loro soggetti nell’onestà della vita e dei costumi, crede bene, come prima cosa, ammonirli di ricordarsi che essi sono dei pastori, non dei tiranni (232), e che è necessario comandare ai sudditi non in modo da dominare su di essi, ma da amarli come figli e fratelli; e a far sì che, esortando ed ammonendo, li allontanino da ciò che è illecito, perché non debbano poi, una volta che abbiano mancato, punirli con le pene dovute.

E tuttavia, se essi dovessero mancare in qualche cosa per umana fragilità, devono osservare quel precetto dell’apostolo: di riprenderli, cioè, di pregarli, di rimproverarli con ogni bontà e pazienza (233): poiché spesso con quelli che devono essere corretti vale più la benevolenza, che la severità; più l’esortazione, che le minacce, più l’amore che lo sfoggio di autorità (234).

Se poi fosse necessario, per la gravità della mancanza, usare la verga, allora con la mansuetudine bisogna usare il rigore, con la misericordia il castigo, con la bontà la severità, perché, pur senza asprezza, sia conservata quella disciplina che è salutare e necessaria ai popoli; e quelli che vengono corretti, si emendino, o se non volessero tornare sulla buona via, gli altri si astengano dai vizi con l’esempio salutare della punizione contro di essi, essendo ufficio del pastore diligente e pio, prima usare i rimedi più miti per i mali delle sue pecore; poi, se la gravità della malattia lo richieda, procedere a rimedi più forti e più gravi. E se neppure questi portassero a qualche risultato, egli dovrà evitare il pericolo del contagio almeno per le altre pecore, separandole (235).

Poiché, quindi, i rei di delitti, spesso, per evitare le pene e per sfuggire il giudizio dei vescovi adducono lamenti e aggravi e col diversivo dell’appello impediscono il processo del giudice, perché essi non debbano abusare di un rimedio, istituito a difesa dell’innocenza, a favore della loro malvagità, e, quindi, perché si possa ovviare alla loro furberia e alla loro tergiversazione, così, il santo concilio stabilisce e decreta:

Canone I

Nelle cause che riguardano la visita e la correzione, o la capacità e l’inabilità, così pure in quelle criminali, prima della sentenza definitiva non si appelli contro il vescovo o il suo vicario generale per le questioni religiose, per la sentenza interlocutoria o per qualsiasi altro aggravio; e il vescovo, o il suo vicario, non sono tenuti a tener conto di questo appello, considerandolo di nessuna importanza. Non ostante questo appello, anzi, e qualsiasi proibizione emanata dal giudice di appello, ed ogni uso e consuetudine contraria, anche immemorabile, essi possano procedere oltre, a meno che questo aggravio non possa essere riparato con la sentenza definitiva, o non si possa fare appello dalla sentenza definitiva. In questi casi rimangono intatte le norme degli antichi canoni (236).

Canone II

Una causa di appello in materia criminale (dove l’appello è ammesso) contro la sentenza del vescovo, o del suo vicario generale, se dev’essere assegnata in partibus per autorità apostolica, sia affidata al metropolita, o anche al suo vicario generale per gli affari spirituali; o, se egli per qualche motivo fosse sospetto, o fosse lontano più dei due giorni di cammino legali, o fosse stato appellato contro di lui ad uno dei vescovi più vicini o ai loro vicari; mai però a giudici inferiori.

Canone III

Il reo che, in una causa criminale, si appella dal vescovo, o dal suo vicario generale nelle cose spirituali, deve portare senz’altro dinanzi al giudice, a cui si è appellato, gli atti della prima istanza; ed il giudice non proceda alla sua assoluzione se non dopo aver visto questi atti.

Chi ha appellato entro i trenta giorni consegni gratuitamente gli stessi atti; in caso contrario, la causa di appello sia conclusa senza di essi, come la giustizia richiederà.

Qualche volta, inoltre, i delitti commessi dalle persone ecclesiastiche sono talmente gravi, che per la loro atrocità meritano di esser deposte dai sacri ordini e consegnate al braccio secolare. In tali casi si richiede, secondo i sacri canoni, un dato numero di vescovi; dato che, se fosse difficile poterli avere tutti, ne sarebbe differita la debita esecuzione del diritto; e se qualche volta potessero radunarsi, sarebbe interrotta la loro residenza, il santo concilio ha stabilito e deciso:

Canone IV

Sia lecito a un vescovo, personalmente o per mezzo d suo vicario generale per le cose spirituali, procedere anche alla condanna e alla deposizione verbale di un chierico costituito negli ordini sacri e anche nel presbiterato; personalmente, (può procedere) anche alla degradazione attua e solenne dagli stessi ordini e gradi ecclesiastici, - nei casi in cui si richiede la presenza degli altri vescovi in un numero definito dai canoni, - anche senza di essi, chiamando tuttavia, e facendosi assistere in ciò da altrettanti abati che abbiano l’uso della mitra e del pastorale per privilegio apostolico, se possono facilmente trovarsi nella città e nella diocesi e possono agevolmente esser presenti. In caso diverso, si facciano assistere da altre persone costituite in dignità ecclesiastica, insigni per età e raccomandabili per la conoscenza del diritto.

E poiché con finti motivi - che tuttavia sembrano assai plausibili - avviene qualche volta, che qualcuno strappi tali grazie, per cui o vengono del tutto condonate o vengono diminuite le pene inflitte loro dai vescovi con giusta severità, non dovendosi soffrire che la menzogna, che tanto dispiace a Dio, non solo rimanga impunita in se stessa, ma ottenga anche il perdono di un alto delitto per chi mentisce, il santo concilio stabilisce e dispone:

Canone V

Il vescovo, residente nella sua chiesa, in caso di reticenza o falsità per ottenere una grazia, impetrata con false preghiere (circa l’assoluzione di un pubblico crimine o delitto di cui egli aveva già cominciato l’inchiesta giudiziaria; circa la remissione di una pena, alla quale chi ha commesso il crimine fosse stato già da lui condannato) ne prenda personale conoscenza, anche sommariamente, come delegato della sede apostolica e quando consti legittimamente che la stessa grazia sia stata ottenuta con la narrazione del falso o con la dissimulazione della verità, non riconosca tale grazia.

Poiché i sudditi, anche se siano stati a buon diritto corretti (dal vescovo), sono soliti odiarlo moltissimo e, quasi che avessero ricevuto ingiuria, accusarlo di falsi crimini, per dargli in qualsiasi modo fastidio, e così il timore delle noie, cui va incontro, lo rende tardo nel ricercare e punire i loro delitti; per questo, affinché egli non sia costretto, con danno suo e della chiesa, ad abbandonare il gregge che gli è stato affidato, e ad andare qua e là, non senza diminuzione della dignità vescovile, il concilio ha stabilito e deciso:

Canone VI

Il vescovo non sia in nessun modo citato o ammonito a comparire personalmente, se non per un motivo per cui dovrebbe esser deposto o privato della sua dignità, anche se si procede ex officio, o per inquisizione o denunzia, o per accusa, o in qualsiasi altro modo.

Canone VII

I testimoni di informazioni o indizi in una causa criminale o, comunque, in una causa principale contro un vescovo, non siano ammessi, se la loro testimonianza non conviene con quella di altri e se non sono di buona condotta, di buona fama, e di buona stima. Se poi deponessero qualche cosa per odio, per temerità e per cupidigia, siano puniti gravemente.

Canone VIII

Le cause dei vescovi, quando per la natura del delitto loro contestato debbano comparire dinanzi al giudice, siano portate dinanzi al sommo pontefice, e da lui siano concluse.

Decreto di proroga per la definizione dei quattro articoli sul sacramento dell’eucarestia e del salvacondotto.

Lo stesso santo sinodo, desiderando togliere, come spine dal campo del Signore, tutti gli errori, che sono recentemente ripullulati intorno a questo santissimo sacramento, e provvedere alla salvezza di tutti i fedeli, dopo aver offerto piamente a Dio onnipotente quotidiane preghiere, tra gli altri articoli, riguardanti questo sacramento, trattati con diligentissima ricerca della verità cattolica, dopo moltissime discussioni, come richiedeva la gravità dell’argomento, dopo aver chiesto il parere di teologi di primo piano, avrebbe voluto trattare anche questi:

1. Se sia necessario alla salvezza e comandato dalla legge divina, che i singoli fedeli ricevano lo stesso venerabile sacramento sotto le due specie.

2. Se per caso chi si comunica sotto una sola specie, non riceva meno di chi si comunica sotto tutte e due.

3. Se la santa madre chiesa non abbia errato dando la comunione ai laici e a quelli che non celebrano sotto una sola specie.

4. Se anche i bambini debbano ricevere la comunione.

Ma poiché dalla nobilissima provincia della Germania quelli che si dicono "Protestanti" desiderano essere ascoltati dal santo concilio su questi stessi articoli, prima che siano definiti; ed a questo scopo hanno chiesto ad esso un pubblica garanzia, perché possano senza alcun pericolo venire qua, dimorare in questa città, parlare liberamente al concilio e proporre quello che essi pensano, e poi, quando credono, potersene tornare, questo santo sinodo, quantunque abbia atteso con grande desiderio la loro venuta già per molti mesi, tuttavia, come pia madre che geme e partorisce (237), desiderando sommamente e volendo far del suo meglio perché non vi siano scismi tra i cristiani (238), e che, come tutti riconoscono lo stesso Dio e Redentore, così dicano, credano e professino le stesse cose (239), confidando nella divina misericordia e sperando che essi possano essere ricondotti alla santissima e salutare concordia di una sola fede, speranza e carità, volentieri usa loro questo riguardo e ha dato e concesso la sicurezza e la pubblica assicurazione, o salvacondotto, come hanno chiesto, per quanto lo riguarda, nel modo che seguirà, e per loro riguardo ha rimandato la definizione di quegli articoli alla seconda sessione, che ha indetto per la festa della conversione di S. Paolo, che sarà il 25 del mese di gennaio del prossimo anno. Ciò perché essi possano con loro comodo essere presenti.

Stabilisce, inoltre, che in quella stessa sessione si tratti del sacrificio della messa, per lo stretto legame che vi è fra l’uno e l’altro argomento.

Intanto ha stabilito che nella prossima sessione debba trattarsi dei sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione; che essa debba tenersi nella festa di santa Caterina vergine e martire, che sarà il 25 di novembre; ed anche che nell’una e nell’altra sessione venga proseguita la materia della riforma.

Salvacondotto dato ai protestanti tedeschi dal sacro concilio di Trento.

Il sacrosanto concilio generale di Trento, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi nunzi della santa sede, concede - per quanto spetta ad esso - la pubblica fede e la piena sicurezza che chiamano "Salvacondotto" - a tutte e singole quelle persone, sia ecclesiastiche che secolari, di tutta la Germania, di qualsiasi grado, stato, condizione e qualità esse siano, le quali vorranno venire a questo concilio ecumenico e generale, perché possano con tutta libertà conferire, proporre e trattare di quegli argomenti che devono esser trattati nello stesso concilio; perché possano liberamente e con tranquillità venire allo stesso concilio ecumenico e rimanere e dimorare in esso, proporre, sia per iscritto, che oralmente, tutti quegli articoli che vorranno, e discutere con i Padri o con quelli che saranno stati scelti dallo stesso sinodo e disputare, senza usare modi ingiuriosi ed offensivi; e che, inoltre, quando essi crederanno, possano tornarsene via.

Concediamo questo salvacondotto con tutte e singole le clausole e i decreti necessari ed opportuni, anche se essi dovessero essere espressi in modo speciale e non con espressioni generiche, e che si intendono come espressi.

È sembrato bene, inoltre, al santo sinodo che se essi per loro maggiore libertà e sicurezza, desiderassero che vengano scelti dei giudici, sia per i delitti già perpetrati che per quelli che possano esser commessi da loro in futuro, li nominino pure a loro gradimento, anche se gli stessi delitti fossero enormemente grandi e riguardassero l’eresia. 
 
Note 
 
232. I Pt 5, 2-4; I Tm 3, 2-4; Tt 1, 7-9.
233. Cfr. 
II Tm 4, 2.
234. LEONE I, 
Ep. 14 ad Anast. (PL 54, 669).
235. Cfr. GEROLAMO, 
Comm. in ep. ad Gal. III, 5, n. 489 (PL 26, 430); AGOSTINO, De corrept. et gr., 15, n. 46 (PL 44, 943 segg.).
236. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 35 (V. sopra).
237. 
Rm 8, 22.
238. Cfr. 
I Cor 1, 10.
239. Cfr. 
Fil 2, 2. 
 

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