GLI EVANGELISTI

I simboli associati agli Evangelisti provengono da un passo del profeta Ezechiele e da un altro passo dell’Apocalisse, che chiaramente riprende Ezechiele stesso: “Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d’aquila” (Ez 1, 10); “In mezzo al trono e intorno al trono quattro animali pieni d’occhi davanti e di dietro. Il primo animale simile ad un leone, il secondo animale simile ad un vitello, il terzo animale con la faccia come d’uomo, il quarto animale simile a un’aquila che vola” (Ap 4, 6-7).
Il Padre della Chiesa san Girolamo, nel IV secolo, fu il primo ad associare i quattro Evangelisti ai quattro simboli, trovandoli adatti a rappresentarli.

MATTEO. E’ raffigurato come un uomo (o angelo, poiché tutte le figure sono alate). Il testo esordisce con la discendenza di Gesù, sottolineandone quindi il suo lato umano.
Matteo era un pubblicano, cioè collettore d’imposte di Cafarnao. Chiamato da Gesù, abbandonò il suo banco e si mise alla sequela di Lui.
Tutte le testimonianze cristiane attribuiscono a Matteo il primo Vangelo; già dal vescovo Papia, che era stato discepolo degli apostoli, abbiamo anche l’affermazione che questo Vangelo fu scritto originariamente in “ebraico”, col quale termine si intende l’aramaico. Esso però venne poco dopo tradotto in greco, come l’abbiamo oggi, e il testo originale andò perduto: è probabile che questa traduzione sia stata fatta dopo la composizione degli altri Vangeli sinottici.

La lingua originale già dimostra che questo Vangelo era destinato ai cristiani di Palestina, provenienti dal giudaismo. E’ anche certo che questo fu il primo dei Vangeli canonici, e che fu scritto prima della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.); è probabile che sia sorto verso il 50 d.C. o poco dopo.
Questo Vangelo ha lo scopo particolare di dimostrare che Gesù è il Messia predetto nell’Antico Testamento e aspettato dai Giudei: perciò, più degli altri Vangeli, fa notare come le antiche profezie si siano adempiute in Gesù e mette in particolare rilievo Gesù come dottore e taumaturgo.

MARCO. E’ raffigurato come un leone alato, perché all’inizio parla di Gesù che nel deserto “stava tra le fiere” (Mc 1, 13). Rappresenta la forza di chi proclama la verità.
Poiché Pietro chiama Marco “figlio mio” (1^ Pietro, 5, 13) si può supporre che lo avesse battezzato e lo considerasse come suo particolare discepolo: difatti già le più antiche testimonianze chiamano Marco “discepolo” e “interprete” e “seguace” di Pietro.
Le stesse testimonianze attribuiscono a Marco il secondo Vangelo, che da lui sarebbe stato scritto “diligentemente” conforme alla predicazione di Pietro. La lingua originale è il greco, diffusissimo nella Roma imperiale. I lettori, a cui lo scritto si indirizza, sono principalmente i cristiani convertiti dopo il paganesimo per opera della predicazione di Pietro.
Perciò, anche lo scopo principale dello scritto è la dimostrazione, opportuna per pagani convertiti, che Gesù è veramente Figlio di Dio, com’è annunziato fin dal primo versetto.
Fissare il tempo di composizione è difficile: certamente dopo quella del Vangelo di Matteo e prima di quello di Luca. Siamo quindi circa nel 60 d.C.
L’antica tradizione esclude che Marco sia stato discepolo di Gesù: ciò non toglie che probabilmente nella sua prima gioventù abbia visto talvolta il Maestro. Parecchi studiosi pensano che quel misterioso giovinetto catturato nell’orto del Gethsemani e sfuggito dalle mani dei soldati, di cui parla il solo Vangelo di Marco (Mc 14, 51-52), sia appunto Marco, unico testimone della scena narrata più tardi da lui stesso.

LUCA. E’ raffigurato come un toro alato, perché comincia il Vangelo parlando del sacerdote Zaccaria, della classe di Abia, che offriva sacrifici di vitelli al Signore: un’allusione al Sacrificio di Cristo Sacerdote.
Luca, nativo di Antiochia, medico di professione, si convertì dal paganesimo al cristianesimo. Fedele discepolo di S. Paolo, fu compagno a costui sia nel secondo sia nel terzo viaggio apostolico, e anche in quello verso l’Italia e in ambedue le sue prigionie romane.
A Luca è attribuito il terzo Vangelo dalle più antiche testimonianze storiche ma anche dagli studiosi moderni; tale attribuzione è confermata dall’indole letteraria sia del Vangelo sia degli Atti, che mostrano stile sostenuto, perizia di terminologia medica, concetti ed espressioni usuali di Paolo, ecc.
Ambedue gli scritti sono dedicati a un Teofilo, certamente cristiano e persona d’alta considerazione, ma del resto ignoto. La fonte principale a cui Luca attinse è certamente la predicazione di S. Paolo: brevi notizie di altro genere furono da lui ricevute da talune persone che egli ricorda qua e là, e poiché due volte ricorda Maria Vergine, rivelando espressamente che ella “custodiva nel cuore” gli avvenimenti di Gesù, è molto probabile che appunto da Lei ricevesse particolari notizie circa l’infanzia di Gesù, le quali del resto sono narrate più ampliamente che negli altri Vangeli.
Probabilmente scritto tra il 61-63 d.C.
Esso, indirizzato a cristiani provenienti sia dal giudaismo sia dal cristianesimo, mette in rilievo che Gesù, Figlio di Dio e Messia, è il Salvatore di tutti gli uomini indistintamente, ed è uno scritto pieno di particolare bontà per i peccatori e i traviati.

GIOVANNI. E’ raffigurato come un’aquila, perché egli “si eleva nelle regioni più alte della conoscenza, come l’aquila s’innalza al volo verso il sole”.
Il quarto Vangelo è il solo non sinottico. Esso si presenta in forma ben differente dai primi tre: talvolta precisa il racconto, lo amplia o lo supplisce, generalmente poi suppone già noto quello raccontato dai primi tre. Mentre i sinottici si sono trattenuti più sul ministero di Gesù in Galilea, il Vangelo di Giovanni si sofferma sul ministero in Giudea e in Gerusalemme. Mentre i sinottici raccontano molti miracoli di Gesù, questo dà largo campo alle discussioni dottrinali di Gesù con i Farisei. Tace poi dei fatti importantissimi, come l’istituzione dell’Eucarestia, perché appunto li suppone già noti dai suoi lettori. La terminologia è in buona parte nuova e d’indole astratta, e sono frequenti i termini “luce”, “vita”, “verità”, ecc., con i quali esso s’inizia. L’insieme di queste caratteristiche, e specialmente l’ultima, procurato nell’antichità cristiana il titolo di “Vangelo spirituale” a questo quarto, in confronto ai tre “Vangeli corporei” precedenti.
Questo Vangelo è cronologicamente il quarto poiché scritto sul finire del I secolo d.C.
Frammenti di papiri hanno dimostrato che questo Vangelo era già diffuso nella prima metà del II secolo in Egitto. Di ciò si ha una conferma nell’indole e nella tesi dello scritto: esso infatti vuole combattere le contemporanee eresie gnostiche, specialmente degli Ebioniti, dei Nicolaiti e di Cerinto, che negavano la divinità di Gesù.
In realtà, fu una particolare disposizione della divina Provvidenza che l’ultimo a scrivere circa la vita e la dottrina di Gesù, e a rafforzare cristiani già adulti nella fede, fosse precisamente il discepolo prediletto di Gesù, quello che nell’ultima cena aveva appoggiato la sua testa sul petto di Gesù e che perciò scrisse un “Vangelo spirituale”.

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