“October baby” è il titolo del film ispirato alla storia vera di Gianna Jessen (per ascoltare la sua testimonianza clicca > qui), una donna scampata all’aborto tardivo che scopre di essere stata adottata.
Hannah ha 19 anni. Apparentemente è una ragazza come tante. Studia, ha degli amici, nutre una passione per il teatro. Un giorno qualcosa sconvolge la sua vita. Viene a conoscenza di una terribile verità. E’ nata per errore, dopo essere sopravvissuta ad un aborto non riuscito. Una verità che fa crollare tutte le certezze persino l’amore di coloro che scopre essere i suoi genitori adottivi. La sua intera vita le appare una menzogna. Il rifiuto che è stato fatto di lei all’origine della vita le fa rifiutare la sua stessa vita. Scoprire di essere nata per errore, di non essere mai stata né pensata, né amata da colei che l’ha portata in grembo le impedisce di amare a sua volta, sua madre, i suoi genitori adottivi e se stessa. Eppure qualcosa dentro di lei le impedisce di restare ferma, immobile, ignorando questa inaspettata realtà. Si mette in viaggio prima ancora che per andare a fondo della verità dei fatti, per conoscere quella improvvisa straniera che si ritrova ad essere. Unico bagaglio di questo pellegrinaggio alla genealogia di se stessa, una data di nascita: 7 ottobre 1991.
Il desiderio profondo, inestirpabile di conoscere le proprie origini è la ragione sottesa a questo viaggio. C’è l’esigenza di ricomporre la sua identità frantumata non tanto dalla verità nascosta quanto dalla coscienza di non essere stata accolta. La domanda esistenziale: “Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?” ci vengono riproposte spogliate di quella astrattezza che le rende inconsistenti. In questa vicenda, queste ontologiche domande trovano una carne che le riveste, disposta ad accoglierle e a sopportarne il peso fino a che non sia dato loro una risposta adeguata.
Hannah è venuta alla luce da persone e cause ignote che desidera conoscere. E’ come se lei fosse il frutto di due storie, una precedente appartenente ad un lontano passato e una nuova. Finché non trova l’anello di congiunzione tra le due, non le è possibile placare il tormento interiore.
Il suo è un sentirsi incompleta, ha bisogno di ricomporre i pezzi della sua vita per coglierne la bellezza; come quando si fa un puzzle, tutti i pezzi sono indispensabili per poter ammirare e percepire la bellezza dell’immagine.
Tra le pagine di un diario annota una frase del Vangelo sotto forma di domanda. “La verità rende liberi?”.
In questo viaggio, attraversando diverse stazioni, giunge al capolinea, ma è un doloroso incontro quello con la vera madre [interpretata da una donna che, all’insaputa dei registi che l’hanno scelta, aveva fatto ricorso all’aborto nella vita reale, ndr] che nel frattempo si è creato una sua vita, nel tentativo di dimenticare, attraverso il lavoro e una nuova maternità, la scelta della soppressione, non riuscita, di due gemellini. Da lei, Hannah non ottiene altro che la conferma di un rifiuto. La sofferenza si moltiplica così come l’odio. Decisivo è l’incontro con un prete nel cui dialogo Hannah ripercorre il suo dramma e ripropone le sue domande. Hannah non riceve parole consolatorie, ma l’invito ad essere libera, a vivere la vita come un dono, infine a perdonare. La vera grandezza della giovane sta nel riuscire a comprendere la necessità di porre fine a tutto ciò con il più grande gesto di coraggio... Una scelta che le costa, ma che dà origine ad una persona nuova. Nel perdono, Hannah rinasce. (Don Massimo Vacchetti - libertaepersona.org)
Hannah ha 19 anni. Apparentemente è una ragazza come tante. Studia, ha degli amici, nutre una passione per il teatro. Un giorno qualcosa sconvolge la sua vita. Viene a conoscenza di una terribile verità. E’ nata per errore, dopo essere sopravvissuta ad un aborto non riuscito. Una verità che fa crollare tutte le certezze persino l’amore di coloro che scopre essere i suoi genitori adottivi. La sua intera vita le appare una menzogna. Il rifiuto che è stato fatto di lei all’origine della vita le fa rifiutare la sua stessa vita. Scoprire di essere nata per errore, di non essere mai stata né pensata, né amata da colei che l’ha portata in grembo le impedisce di amare a sua volta, sua madre, i suoi genitori adottivi e se stessa. Eppure qualcosa dentro di lei le impedisce di restare ferma, immobile, ignorando questa inaspettata realtà. Si mette in viaggio prima ancora che per andare a fondo della verità dei fatti, per conoscere quella improvvisa straniera che si ritrova ad essere. Unico bagaglio di questo pellegrinaggio alla genealogia di se stessa, una data di nascita: 7 ottobre 1991.
Il desiderio profondo, inestirpabile di conoscere le proprie origini è la ragione sottesa a questo viaggio. C’è l’esigenza di ricomporre la sua identità frantumata non tanto dalla verità nascosta quanto dalla coscienza di non essere stata accolta. La domanda esistenziale: “Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?” ci vengono riproposte spogliate di quella astrattezza che le rende inconsistenti. In questa vicenda, queste ontologiche domande trovano una carne che le riveste, disposta ad accoglierle e a sopportarne il peso fino a che non sia dato loro una risposta adeguata.
Hannah è venuta alla luce da persone e cause ignote che desidera conoscere. E’ come se lei fosse il frutto di due storie, una precedente appartenente ad un lontano passato e una nuova. Finché non trova l’anello di congiunzione tra le due, non le è possibile placare il tormento interiore.
Il suo è un sentirsi incompleta, ha bisogno di ricomporre i pezzi della sua vita per coglierne la bellezza; come quando si fa un puzzle, tutti i pezzi sono indispensabili per poter ammirare e percepire la bellezza dell’immagine.
Tra le pagine di un diario annota una frase del Vangelo sotto forma di domanda. “La verità rende liberi?”.
In questo viaggio, attraversando diverse stazioni, giunge al capolinea, ma è un doloroso incontro quello con la vera madre [interpretata da una donna che, all’insaputa dei registi che l’hanno scelta, aveva fatto ricorso all’aborto nella vita reale, ndr] che nel frattempo si è creato una sua vita, nel tentativo di dimenticare, attraverso il lavoro e una nuova maternità, la scelta della soppressione, non riuscita, di due gemellini. Da lei, Hannah non ottiene altro che la conferma di un rifiuto. La sofferenza si moltiplica così come l’odio. Decisivo è l’incontro con un prete nel cui dialogo Hannah ripercorre il suo dramma e ripropone le sue domande. Hannah non riceve parole consolatorie, ma l’invito ad essere libera, a vivere la vita come un dono, infine a perdonare. La vera grandezza della giovane sta nel riuscire a comprendere la necessità di porre fine a tutto ciò con il più grande gesto di coraggio... Una scelta che le costa, ma che dà origine ad una persona nuova. Nel perdono, Hannah rinasce. (Don Massimo Vacchetti - libertaepersona.org)
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