RILEGGIAMO IL CONCILIO DI TRENTO - 14/IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA (SECONDA PARTE)

Capitolo V.
La confessione.

Dalla istituzione del sacramento della penitenza già spiegata, tutta la chiesa ha sempre creduto che sia stata istituita anche, dal Signore, la confessione completa dei peccati (256) e che per tutti quelli che dopo il battesimo siano caduti in peccato essa sia necessaria iure divino; Gesù Cristo, infatti, nostro Signore, poco prima di salire dalla terra in cielo, lasciò i sacerdoti, suoi vicari (257), come capi e giudici (258), cui devono deferirsi tutte le colpe mortali, in cui i fedeli cristiani fossero caduti, perché, in virtù del potere delle chiavi, pronunzino la sentenza di remissione o di redenzione. È chiaro, infatti, che i sacerdoti non avrebbero potuto esercitare questo giudizio senza conoscere la causa né imporre le penitenze con equità, se i penitenti avessero dichiarato i loro peccati solo genericamente, e non invece, nella loro specie ed uno per uno.

Si conclude da ciò che è necessario che i penitenti manifestino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se essi sono del tutto nascosti e sono stati commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo (259), che spesso feriscono più gravemente l’anima, e sono più pericolosi di quelli che si commettono alla luce del sole.

I veniali, infatti, dai quali non siamo privati della grazia di Dio, e nei quali cadiamo più facilmente, benché opportunamente ed utilmente e al di fuori di ogni presunzione vengano manifestati in confessione (come dimostra l’uso di persone pie), possono tuttavia esser taciuti senza colpa ed espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti i mortali, anche solo di pensiero, rendono gli uomini figli dell’ira (260) e nemici di Dio, è anche necessario chiedere perdono di tutti a Dio con una esplicita ed umile confessione.

Quindi, mentre i fedeli cristiani si studiano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li espongono tutti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e ne tacciono consapevolmente qualcuno, non espongono nulla alla divina bontà perché li perdoni per mezzo del sacerdote. Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non potrebbe curare quello che non conosce.

Si deduce, inoltre, che nella confessione debbano manifestarsi anche quelle circostanze che mutano la specie del peccato: senza di esse, infatti, né il penitente espone completamente gli stessi peccati, né questi potrebbero venir conosciuti dai giudici e sarebbe impossibile ad essi percepire esattamente la gravità delle colpe ed imporre per essa ai penitenti la pena dovuta.

Non è quindi ragionevole insegnare che queste circostanze sono state inventate da uomini oziosi o che debba confessarsi questa sola circostanza: che si è peccato contro il fratello.

Ed è empio affermare che una tale confessione sia impossibile o chiamarla carneficina delle coscienze. Tutti sanno, infatti, che la chiesa nient’altro richiede da chi si confessa, se non di confessare - dopo che ciascuno si è diligentemente esaminato ed ha esplorato tutti gli angoli più riposti della sua coscienza - quei peccati, con cui egli si ricorda di aver offeso mortalmente il suo Signore e suo Dio; gli altri peccati, che, pur esaminandosi diligentemente, non gli vengano in mente, si ritengono inclusi genericamente nella stessa confessione. Per questi noi diciamo con fede assieme al profeta: Dai miei peccati occulti, purificami, Signore (261).

Quanto poi alla difficoltà di questa confessione e alla vergogna di dover manifestare i peccati, può sembrare certamente grave; ma essa è alleggerita dai tanti e così grandi vantaggi e consolazioni, che con l’assoluzione vengono certissimamente elargiti a tutti quelli che si accostano degnamente a questo sacramento.

Del resto, per quanto riguarda il modo di confessarsi segretamente dinanzi al solo sacerdote, quantunque Cristo non abbia proibito che uno, in punizione dei suoi peccati e per propria umiliazione, sia come esempio per gli altri, che per edificazione della Chiesa, che è stata offesa, possa confessare pubblicamente i suoi peccati, ciò non è comandato da alcuna legge divina; e non sarebbe saggio comandare con una legge umana che si manifestassero le colpe, specie se segrete, con una pubblica confessione.

Poiché, quindi, la confessione sacramentale segreta, che la santa chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa ancora, è stata sempre raccomandata con grande, unanime consenso dai padri più santi e più antichi, evidentemente risulta vana la calunnia di coloro che non hanno scrupolo di insegnare che essa è aliena dal comando divino, che è invenzione umana, e che ha avuto inizio dai padri del concilio Lateranense. La chiesa, infatti, col concilio Lateranense non ha stabilito che i fedeli cristiani si confessassero, - cosa che essa sapeva bene essere necessaria ed essere stata istituita dal diritto divino -, ma che l’obbligo della confessione venisse adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e singoli quelli che fossero giunti all’età della ragione (262).

È per questo che in tutta la chiesa è invalso l’uso salutare, con grandissimo frutto per le anime, di confessarsi durante il tempo sacro e sommamente accetto della Quaresima. Quest’uso, il santo sinodo lo approva sommamente e lo abbraccia come pio e degno di essere conservato.
 
 
Note 
 
256. Cfr. Gc 5, 6; I Gv 1, 9; Lc 5, 14 e 17, 14.
257. Cfr. 
Mt 16, 19; 18, 18; Gv 20, 23.
258. Cfr. AMBROGIO, 
De Cain et Abel, II, 4 (CSEL 32/1, 391).
259. Cfr. 
Es 20, 17; Dt 5, 21; Mt 5, 28.
260. Cfr. Ef 2, 3.
261. 
Sal 18, 13.
262. Cfr. Concilio Lateranense IV, c. 21 (v. sopra). 
 

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