Parliamo di immigrazione. Non possiamo esimercene, visto ciò che sentiamo, vediamo e leggiamo quotidianamente.
Prima di tutto una premessa che ritengo molto importante per inquadrare bene il discorso. Una comunità nazionale, per rimanere tale, non può rinunciare a salvaguardare la propria identità, perché è proprio l’identità a renderla tale. Una comunità nazionale senza un’identità di riferimento è come una pizza senza farina o come quel famoso “formaggio senza latte” che vorrebbero imporci i “genii” di Bruxelles. A riguardo bisogna tener presente un’importante differenza, quella tramultietnicità e multiculturalità. La multietnicità può essere un dato di fatto da cui difficilmente poter prescindere, la multiculturalità è invece il volontario rifiuto di una cultura che faccia da fondamento. La multietnicità è la coesistenza doverosamente pacifica tra più etnie, la multiculturalità è – come detto – la teorizzazione di un modello di società in cui tutto si liquefaccia (nel senso proprio di divenire “liquido”), in cui qualsiasi opzione identitaria sia alla pari delle altre e disponibile a qualsivoglia cambiamento.
Prima di tutto una premessa che ritengo molto importante per inquadrare bene il discorso. Una comunità nazionale, per rimanere tale, non può rinunciare a salvaguardare la propria identità, perché è proprio l’identità a renderla tale. Una comunità nazionale senza un’identità di riferimento è come una pizza senza farina o come quel famoso “formaggio senza latte” che vorrebbero imporci i “genii” di Bruxelles. A riguardo bisogna tener presente un’importante differenza, quella tramultietnicità e multiculturalità. La multietnicità può essere un dato di fatto da cui difficilmente poter prescindere, la multiculturalità è invece il volontario rifiuto di una cultura che faccia da fondamento. La multietnicità è la coesistenza doverosamente pacifica tra più etnie, la multiculturalità è – come detto – la teorizzazione di un modello di società in cui tutto si liquefaccia (nel senso proprio di divenire “liquido”), in cui qualsiasi opzione identitaria sia alla pari delle altre e disponibile a qualsivoglia cambiamento.
Detto questo, va senz’altro ricordato che cristianamente, ma anche per legge naturale, c’è un dovere morale di accogliere chi eventualmente lasciasse la propria terra per oggettive e pericolose difficoltà che riguardano i diritti fondamentali della propria persona. Diritti minacciati direttamente (professare liberamente la vera religione, proteggere la vita dei propri figli, ecc…) oppure minacciati indirettamente (condizioni di estrema indigenza). Ovviamente (e questo è un punto importante) tale dovere di accogliere non può esserci allorquando chi accoglie non può assicurare una situazione autenticamente e definitivamente migliore rispetto alle condizioni che si vogliono lasciare.
Ora è indubbio che per quanto riguarda le minacce dirette chi accoglie può sempre offrire una soluzione, ma per quanto riguarda le minacce indirette non sempre le soluzioni possono essere garantite. Parlando chiaramente: l’Italia e gli altri Paesi europei possono garantire il diritto alla vita, ma certamente non possono garantire a tutti delle opportune condizioni economiche, anche perché queste sono condizionate da possibilità lavorative che non sempre ci sono. E – si sa – a meno che non si viva nel paese-dei-balocchi, senza lavoro l’unica possibilità per vivere è elemosinare o delinquere.
Detto questo, va senz’altro ricordato che cristianamente, ma anche per legge naturale, c’è un dovere morale di accogliere chi eventualmente lasciasse la propria terra per oggettive e pericolose difficoltà che riguardano i diritti fondamentali della propria persona. Diritti minacciati direttamente (professare liberamente la vera religione, proteggere la vita dei propri figli, ecc…) oppure minacciati indirettamente (condizioni di estrema indigenza). Ovviamente (e questo è un punto importante) tale dovere di accogliere non può esserci allorquando chi accoglie non può assicurare una situazione autenticamente e definitivamente migliore rispetto alle condizioni che si vogliono lasciare. Ora è indubbio che per quanto riguarda le minacce dirette chi accoglie può sempre offrire una soluzione, ma per quanto riguarda le minacce indirette non sempre le soluzioni possono essere garantite. Parlando chiaramente: l’Italia e gli altri Paesi europei possono garantire il diritto alla vita, ma certamente non possono garantire a tutti delle opportune condizioni economiche, anche perché queste sono condizionate da possibilità lavorative che non sempre ci sono. E – si sa – a meno che non si viva nel paese-dei-balocchi, senza lavoro l’unica possibilità per vivere è elemosinare o delinquere.
È evidente che c’è sempre un gravissimo dovere di soccorrere chi è in difficoltà nel momento della difficoltà. Su questo non deve esserci alcun dubbio. Quando si parla di soccorso ai profughi si ricorda cristianamente la parabola del Buon Samaritano (Luca 10), e non si sbaglia perché è indubbio che con quel racconto Gesù ci obbliga alle opere di misericordia corporale. Ma questa parabola va utilizzata per capire che c’è un grave dovere di soccorrere chi è in difficoltà, ma non fa riferimento a ciò che è a monte dei singoli casi di difficoltà. Mi spiego meglio: il povero disgraziato era passato in una zona infestata da briganti e questi lo avevano derubato, malmenato e lasciato mezzo morto sulla strada. Da qui la bontà del Samaritano che lo raccoglie, lo porta in una locanda e gli paga vitto, alloggio e cure. Immaginiamo che il Samaritano avesse potuto fare anche altro, per esempio avvertire altri potenziali disgraziati a non passare per quei sentieri infestati da briganti, oppure – addirittura – intervenire con la forza per far sì che chiunque passasse per quei sentieri lo potesse fare senza rischiare la vita… pensate che non l’avrebbe fatto?
La bontà, se è bontà, è a 360 gradi. Morale: riconoscere il sacrosanto obbligo di soccorrere, non vuol dire trascurare ciò che è a monte delle disgrazie, soprattutto quando si occupano posti di governo in cui l’autorità che si ha la si deve utilizzare al servizio del bene comune e della giustizia e non di biechi interessi diplomatici, economici, geopolitici, strategici… L’azione di soccorrere i disperati diventa credibile quando si fanno tutti gli sforzi per far sì che non ci siano o siano sempre meno i disperati da soccorrere. Ma se si rinuncia a questo, parlare di dovere di soccorrere può diventare una pericolosa demagogia.
Poi c’è un altro punto importante: non tutti coloro che decidono di partire sui barconi sono profughi. Questo lo sanno tutti. I siriani possono indubbiamente esserlo, i subsahariani no. Recentemente la professoressa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, rilasciando un’intervista a Il Giornale, ha detto: «Quando sento parlare di disperati che scappano dalle bombe, a proposito degli emigranti dall’Africa subsahriana, resto abbastanza sconcertata. Certo arrivano da Paesi dove la democrazia non ha raggiunto vette esemplari, e dove pure non mancano conflitti, ma salvo pochissimi casi sono Paesi che non giustificano una richiesta di asilo, e chi la inoltra infatti raramente la ottiene. Io li chiamo come si sono sempre chiamati: emigranti».
Pertanto, un conto sono i profughi, un conto sono gli emigranti. E stesso tra i profughi va fatta una selezione per i motivi che dicevamo precedentemente. Un conto è essere profugo per motivi di guerra e persecuzione morale e fisica, altro è essere profugo per motivi economici. E i motivi economici non si risolvono se lo Stato di accoglienza non può offrire un lavoro a tutti. Ripeto: senza lavoro sì è allo sbando e disponibili solo a delinquere.
Poi c’è un’altra questione ed è quella mediatica. Non pochi studiosi dei flussi immigratori ci dicono che molti di coloro che decidono di lasciare le loro terre lo fanno perché credono di poter raggiungere una sorta di Eldorado. L’Europa, soprattutto quella del centro-nord, la immaginano come terra di ricchezza, comodità, benessere… E tutto questo perché ci sono le immagini televisive ad alimentare una simile convinzione. Sarà capitato a molti di trovarsi all’estero in una stanza di albergo e accendere la televisione. Se non si conosce la lingua del posto, ci si sofferma soprattutto sugli spot pubblicitari e da questi (che lavorano soprattutto sulle immagini piuttosto che sulle parole) si è tentati di farsi un’idea del posto e capire come lì si vive. Ho detto “tentati” perché è ovvio che gli spot sono costruiti appositamente per allettare e non per rappresentare sinceramente la realtà.
Ma veniamo al dunque. Da una parte si dice che chi parte, spesso lo fa perché ingannato da un’immagine falsa che i media danno dell’Occidente; dall’altra non ci si preoccupa minimamente dei messaggi che sul fenomeno immigrazione questi stessi media danno. Se io dico che la diversità è sempre e comunque una ricchezza, che bisogna accogliere senza “se” e senza “ma”, che le regole attuali sono troppo restrittive, che non c’è alcuna invasione, anzi… è evidente che chi riceve questi messaggi finirà con l’approfittarne, prima che sia troppo tardi.
Un po’ di simbologia architettonica non ci può che fare bene. Negli ultimi giorni sono aumentate nei media tutte le suggestioni possibili e immaginabili in merito a muri, ponti, pilastri e fondamenta … è mancato solo il calcestruzzo e le tegole e il quadro (pardon: il cantiere!) si sarebbe completato. Ovviamente la “figuraccia” l’ha fatta il muro e chi i muri ha iniziato a costruirli. Ma non si è pensato (ovviamente non si è voluto pensare) che l’esistenza di un muro sottende sempre l’esistenza di porte (strette o larghe è relativo). Ora, così come chi è favorevole ai muri è perché vuole che ci siano delle porte; parimenti coloro che sono contrari ai muri è perché sono contrari alle porte. Fuor di metafora: cosa è una porta? È la possibilità di accogliere ma con la necessità di rispettare delle regole precise. Ebbene, sono queste regole che non vogliono essere accettate. Ora, fin quando queste cose le teorizzino e le dicano i neo-cosmopoliti anarcoidi e no-global, lo si può anche capire (fanno il loro mestiere), ma quando a scagliarsi contro i muri sono coloro che pur vogliono le regole, allora i casi sono due: o è mancato il fosforo a colazione, oppure si è stati contagiati dalla sindrome del “politicamente corretto” e si vogliono strappare applausi a scena aperta.
Poi ci sono gli innominati, anzi no: gli innominabili. Parafrasando il famoso detto sull’Araba Fenicia: …che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa … potremmo dire a proposito di questi innominabili: … chi siano tutti lo sanno, ma i loro nomi nessun li fa. Di ciò che sta accadendo sono responsabili soprattutto Sarkozy e Cameron, spalleggiati dall’onnipresente Obama; e poi tanti sodali che a suo tempo non furono pochi. Vollero far fuori l’antidemocratico Gheddafi … e si sono ritrovati con la Libia che adesso sì che è un bell’esempio di democrazia, un tal bell’esempio che non si capisce chi comanda e chi ubbidisce. Gioirono per il sole delle “primavere arabe” …e si sono ritrovati con il diluvio inarrestabile di profughi. Che dire a costoro? Certamente il fenomeno delle migrazioni esisteva anche prima, ma quello che è successo dopo è sotto gli occhi di tutti.
Veniamo adesso all’ultimo punto, importantissimo però. Un punto delicato perché quando si fa “dietrologia” si affronta sempre un campo molto delicato che a me personalmente affascina ma mi preoccupa anche. Si finisce infatti sempre col parlare utilizzando fonti delicate, da qui la necessità di lavorare con molta intuizione ma anche con molta doverosa prudenza. Detto questo, il riferimento che abbiamo fatto precedentemente alla Francia e all’Inghilterra e che potremmo in un certo senso ancora adesso fare agli Stati Uniti d’America per quanto riguarda il governo Assad in Siria, ci impone una domanda: Ma siamo dinanzi ad emeriti incompetenti? Oppure c’è qualcos’altro dietro certe folli decisioni? Tornando al caso Gheddafi, perché si è deciso di anteporre interessi economici a rischi immani quali oggi sta patendo l’Europa? Non escludendo l’incompetenza perché tutto è possibile e – come dicevano le vecchie zie – sotto questo cielo tutto è possibile, è però un po’ difficile pensare che nessuno ci avesse pensato e immaginare che nessuno lo avesse immaginato. E allora perché? Che ci sia qualcuno che voglia stabilizzare l’instabilità? Che ci sia qualcuno che voglia dal caos attingere nuova forza per imporsi come forza ordinatrice? Lascio a voi la risposta.
È notizia di queste ore la proposta del generale Petraeus, veterano della Guerra in Afghanistan, di allearsi con i qaedisti di al-Nusra per combattere l’Isis. Notizia commentata da molti osservatori come ulteriore esempio di come chi vuole seriamente combattere contro l’ISIS siano la Russia, l’Iran, la Siria e i Curdi; mentre agli Stati Uniti sembra soprattutto interessare far fuori Assad.
Ma torniamo noi: giocare sulla vita umana e sul destino dei popoli non solo è moralmente criminale e si dovrà di questo rispondere dinanzi a Dio, ma è anche stupido (la stupidità è come un cadavere nel mare, vien poi sempre a galla) perché si finisce con fare la fine dell’apprendista stregone.
Ora è indubbio che per quanto riguarda le minacce dirette chi accoglie può sempre offrire una soluzione, ma per quanto riguarda le minacce indirette non sempre le soluzioni possono essere garantite. Parlando chiaramente: l’Italia e gli altri Paesi europei possono garantire il diritto alla vita, ma certamente non possono garantire a tutti delle opportune condizioni economiche, anche perché queste sono condizionate da possibilità lavorative che non sempre ci sono. E – si sa – a meno che non si viva nel paese-dei-balocchi, senza lavoro l’unica possibilità per vivere è elemosinare o delinquere.
Detto questo, va senz’altro ricordato che cristianamente, ma anche per legge naturale, c’è un dovere morale di accogliere chi eventualmente lasciasse la propria terra per oggettive e pericolose difficoltà che riguardano i diritti fondamentali della propria persona. Diritti minacciati direttamente (professare liberamente la vera religione, proteggere la vita dei propri figli, ecc…) oppure minacciati indirettamente (condizioni di estrema indigenza). Ovviamente (e questo è un punto importante) tale dovere di accogliere non può esserci allorquando chi accoglie non può assicurare una situazione autenticamente e definitivamente migliore rispetto alle condizioni che si vogliono lasciare. Ora è indubbio che per quanto riguarda le minacce dirette chi accoglie può sempre offrire una soluzione, ma per quanto riguarda le minacce indirette non sempre le soluzioni possono essere garantite. Parlando chiaramente: l’Italia e gli altri Paesi europei possono garantire il diritto alla vita, ma certamente non possono garantire a tutti delle opportune condizioni economiche, anche perché queste sono condizionate da possibilità lavorative che non sempre ci sono. E – si sa – a meno che non si viva nel paese-dei-balocchi, senza lavoro l’unica possibilità per vivere è elemosinare o delinquere.
È evidente che c’è sempre un gravissimo dovere di soccorrere chi è in difficoltà nel momento della difficoltà. Su questo non deve esserci alcun dubbio. Quando si parla di soccorso ai profughi si ricorda cristianamente la parabola del Buon Samaritano (Luca 10), e non si sbaglia perché è indubbio che con quel racconto Gesù ci obbliga alle opere di misericordia corporale. Ma questa parabola va utilizzata per capire che c’è un grave dovere di soccorrere chi è in difficoltà, ma non fa riferimento a ciò che è a monte dei singoli casi di difficoltà. Mi spiego meglio: il povero disgraziato era passato in una zona infestata da briganti e questi lo avevano derubato, malmenato e lasciato mezzo morto sulla strada. Da qui la bontà del Samaritano che lo raccoglie, lo porta in una locanda e gli paga vitto, alloggio e cure. Immaginiamo che il Samaritano avesse potuto fare anche altro, per esempio avvertire altri potenziali disgraziati a non passare per quei sentieri infestati da briganti, oppure – addirittura – intervenire con la forza per far sì che chiunque passasse per quei sentieri lo potesse fare senza rischiare la vita… pensate che non l’avrebbe fatto?
La bontà, se è bontà, è a 360 gradi. Morale: riconoscere il sacrosanto obbligo di soccorrere, non vuol dire trascurare ciò che è a monte delle disgrazie, soprattutto quando si occupano posti di governo in cui l’autorità che si ha la si deve utilizzare al servizio del bene comune e della giustizia e non di biechi interessi diplomatici, economici, geopolitici, strategici… L’azione di soccorrere i disperati diventa credibile quando si fanno tutti gli sforzi per far sì che non ci siano o siano sempre meno i disperati da soccorrere. Ma se si rinuncia a questo, parlare di dovere di soccorrere può diventare una pericolosa demagogia.
Poi c’è un altro punto importante: non tutti coloro che decidono di partire sui barconi sono profughi. Questo lo sanno tutti. I siriani possono indubbiamente esserlo, i subsahariani no. Recentemente la professoressa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Torino, rilasciando un’intervista a Il Giornale, ha detto: «Quando sento parlare di disperati che scappano dalle bombe, a proposito degli emigranti dall’Africa subsahriana, resto abbastanza sconcertata. Certo arrivano da Paesi dove la democrazia non ha raggiunto vette esemplari, e dove pure non mancano conflitti, ma salvo pochissimi casi sono Paesi che non giustificano una richiesta di asilo, e chi la inoltra infatti raramente la ottiene. Io li chiamo come si sono sempre chiamati: emigranti».
Pertanto, un conto sono i profughi, un conto sono gli emigranti. E stesso tra i profughi va fatta una selezione per i motivi che dicevamo precedentemente. Un conto è essere profugo per motivi di guerra e persecuzione morale e fisica, altro è essere profugo per motivi economici. E i motivi economici non si risolvono se lo Stato di accoglienza non può offrire un lavoro a tutti. Ripeto: senza lavoro sì è allo sbando e disponibili solo a delinquere.
Poi c’è un’altra questione ed è quella mediatica. Non pochi studiosi dei flussi immigratori ci dicono che molti di coloro che decidono di lasciare le loro terre lo fanno perché credono di poter raggiungere una sorta di Eldorado. L’Europa, soprattutto quella del centro-nord, la immaginano come terra di ricchezza, comodità, benessere… E tutto questo perché ci sono le immagini televisive ad alimentare una simile convinzione. Sarà capitato a molti di trovarsi all’estero in una stanza di albergo e accendere la televisione. Se non si conosce la lingua del posto, ci si sofferma soprattutto sugli spot pubblicitari e da questi (che lavorano soprattutto sulle immagini piuttosto che sulle parole) si è tentati di farsi un’idea del posto e capire come lì si vive. Ho detto “tentati” perché è ovvio che gli spot sono costruiti appositamente per allettare e non per rappresentare sinceramente la realtà.
Ma veniamo al dunque. Da una parte si dice che chi parte, spesso lo fa perché ingannato da un’immagine falsa che i media danno dell’Occidente; dall’altra non ci si preoccupa minimamente dei messaggi che sul fenomeno immigrazione questi stessi media danno. Se io dico che la diversità è sempre e comunque una ricchezza, che bisogna accogliere senza “se” e senza “ma”, che le regole attuali sono troppo restrittive, che non c’è alcuna invasione, anzi… è evidente che chi riceve questi messaggi finirà con l’approfittarne, prima che sia troppo tardi.
Un po’ di simbologia architettonica non ci può che fare bene. Negli ultimi giorni sono aumentate nei media tutte le suggestioni possibili e immaginabili in merito a muri, ponti, pilastri e fondamenta … è mancato solo il calcestruzzo e le tegole e il quadro (pardon: il cantiere!) si sarebbe completato. Ovviamente la “figuraccia” l’ha fatta il muro e chi i muri ha iniziato a costruirli. Ma non si è pensato (ovviamente non si è voluto pensare) che l’esistenza di un muro sottende sempre l’esistenza di porte (strette o larghe è relativo). Ora, così come chi è favorevole ai muri è perché vuole che ci siano delle porte; parimenti coloro che sono contrari ai muri è perché sono contrari alle porte. Fuor di metafora: cosa è una porta? È la possibilità di accogliere ma con la necessità di rispettare delle regole precise. Ebbene, sono queste regole che non vogliono essere accettate. Ora, fin quando queste cose le teorizzino e le dicano i neo-cosmopoliti anarcoidi e no-global, lo si può anche capire (fanno il loro mestiere), ma quando a scagliarsi contro i muri sono coloro che pur vogliono le regole, allora i casi sono due: o è mancato il fosforo a colazione, oppure si è stati contagiati dalla sindrome del “politicamente corretto” e si vogliono strappare applausi a scena aperta.
Poi ci sono gli innominati, anzi no: gli innominabili. Parafrasando il famoso detto sull’Araba Fenicia: …che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa … potremmo dire a proposito di questi innominabili: … chi siano tutti lo sanno, ma i loro nomi nessun li fa. Di ciò che sta accadendo sono responsabili soprattutto Sarkozy e Cameron, spalleggiati dall’onnipresente Obama; e poi tanti sodali che a suo tempo non furono pochi. Vollero far fuori l’antidemocratico Gheddafi … e si sono ritrovati con la Libia che adesso sì che è un bell’esempio di democrazia, un tal bell’esempio che non si capisce chi comanda e chi ubbidisce. Gioirono per il sole delle “primavere arabe” …e si sono ritrovati con il diluvio inarrestabile di profughi. Che dire a costoro? Certamente il fenomeno delle migrazioni esisteva anche prima, ma quello che è successo dopo è sotto gli occhi di tutti.
Veniamo adesso all’ultimo punto, importantissimo però. Un punto delicato perché quando si fa “dietrologia” si affronta sempre un campo molto delicato che a me personalmente affascina ma mi preoccupa anche. Si finisce infatti sempre col parlare utilizzando fonti delicate, da qui la necessità di lavorare con molta intuizione ma anche con molta doverosa prudenza. Detto questo, il riferimento che abbiamo fatto precedentemente alla Francia e all’Inghilterra e che potremmo in un certo senso ancora adesso fare agli Stati Uniti d’America per quanto riguarda il governo Assad in Siria, ci impone una domanda: Ma siamo dinanzi ad emeriti incompetenti? Oppure c’è qualcos’altro dietro certe folli decisioni? Tornando al caso Gheddafi, perché si è deciso di anteporre interessi economici a rischi immani quali oggi sta patendo l’Europa? Non escludendo l’incompetenza perché tutto è possibile e – come dicevano le vecchie zie – sotto questo cielo tutto è possibile, è però un po’ difficile pensare che nessuno ci avesse pensato e immaginare che nessuno lo avesse immaginato. E allora perché? Che ci sia qualcuno che voglia stabilizzare l’instabilità? Che ci sia qualcuno che voglia dal caos attingere nuova forza per imporsi come forza ordinatrice? Lascio a voi la risposta.
È notizia di queste ore la proposta del generale Petraeus, veterano della Guerra in Afghanistan, di allearsi con i qaedisti di al-Nusra per combattere l’Isis. Notizia commentata da molti osservatori come ulteriore esempio di come chi vuole seriamente combattere contro l’ISIS siano la Russia, l’Iran, la Siria e i Curdi; mentre agli Stati Uniti sembra soprattutto interessare far fuori Assad.
Ma torniamo noi: giocare sulla vita umana e sul destino dei popoli non solo è moralmente criminale e si dovrà di questo rispondere dinanzi a Dio, ma è anche stupido (la stupidità è come un cadavere nel mare, vien poi sempre a galla) perché si finisce con fare la fine dell’apprendista stregone.
(Corrado Gnerre - civiltacristiana.com)
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