Gesù è a Gerusalemme con i suoi Apostoli. E’ assente Giuda l’Iscariota che si è allontanato da loro con un falso pretesto. Escono dalla casa che li ospita, salgono fra gli ulivi, lasciando alla loro destra il Getsemani e elevandosi ancora, su per il monte, sino a raggiungerne la cresta su cui gli ulivi fanno un pettine frusciante. Gesù si rivolge agli Apostoli ... (...) Udite. Quando pregate, dite così: “Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in Terra come lo è in Cielo, e in Terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.(...) Non occorre altro amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d’oro tutto quanto abbisogna all’uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna. E’ una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l’intaccheranno.
Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la Terra, l’unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura. “Padre nostro”.
Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell’Incarnato. Così voglio Lo chiamate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. Un tempo era che l’uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!”. Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante... Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi dei fedeli. Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re.”. Ma ora! ... alzatevi! accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”. Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l’inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall’avvilito pensiero degli uomini. Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell’azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.
“Padre! Padre!”, dite. E non stancatevi di dire questa parola. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore. “Padre! Padre mio!”, dicono i piccoli al padre loro. E’ la parola che dicono per prima: “Madre, padre”. Voi siete i pargoli di Dio, Io vi ho generati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l’uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre SS. che è nei Cieli.
“Sia santificato il tuo Nome”.
Oh! Nome più di ogni altro santo e soave, Nome che il terrore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. E’ Dio. E’ il Dio che in un eccesso di amore ha creato l’Umanità. L’Umanità, d’ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, Lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l’Umanità, nei suoi figli minori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.
“Venga il Regno tuo in Terra come in Cielo”.
Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sarebbe la gioia sulla Terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, faticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la Terra uno specchio che riflette nei singoli la vita dei Cieli. Verrà. Un giorno tutto questo verrà. Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta, da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa - che se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio - precederanno il momento in cui la Terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giardini eteri, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.
“E in Terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà”.
L’annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L’annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. Il Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.
“Dacci il nostro pane quotidiano”.
Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La beatitudine sarà il vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: “Padre, dacci il pane”.
Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia va ad esso dicendo: “Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare”, può mai sentirsi rispondere dal di dentro della casa: “Non mi dare noia perché ho già chiuso l’uscio e assicurati i battenti, e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi”? No. Se egli si è rivolto ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L’avrebbe anche se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole. Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della Terra, ma vi rivolgete all’Amico perfetto, che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto”. Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta. Chi fra i figli degli uomini si vede porre mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l’ho detto e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chiedete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche debiti morali. E’ debito materiale la moneta o la merce che, avuta in prestito, va restituita. E’ debito morale la stima carpita e non resa, e l’amore voluto e non dato. E’ debito spirituale l’ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l’amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose. L’egoista vuole avere e non dà. Ma l’egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all’amico, dall’amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi. Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell’uomo a Lui SS. se l’uomo non perdona al suo simile.
“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.
L’uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua (Giuda Iscariota) mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli... e ho risposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto.
Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! L’umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: “Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dammi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi.”. Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno.
Ho detto, miei diletti. Questa è la mia seconda Pasqua fra voi. Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l’agnello. Quest’anno vi dono la preghiera. (...) Alzatevi e andiamo (...).
(Dagli scritti di Maria Valtorta)
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