Presentazione [1]
L’omosessualità, o sodomia, sempre considerata dalla coscienza cristiana e occidentale come un vizio obbrobrioso, rivendica oggi visibilità e diritti nella società. Secondo i fautori della nuova ideologia omosessualista, la coscienza civile, che un tempo bollava il peccato contro natura come abominevole, dovrebbe ora riconoscerlo come un bene in sé meritevole di tutela e protezione giuridica. La legge, che un tempo reprimeva l’omosessualità, dovrebbe invece promuoverla, castigando coloro che la rifiutano e la combattono pubblicamente. L’omosessualità, in questa prospettiva, non sarebbe un vizio, e neppure una malattia o deviazione di qualsiasi genere, ma una naturale tendenza umana, da assecondare e garantire, senza porsi il problema della sua moralità. Il Magistero della Chiesa cattolica si situa agli antipodi di questo nefasto relativismo. La Chiesa ha infatti come missione divina di insegnare la verità nel campo della fede e della morale, illuminata dalle parole di Gesù Cristo: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7, 16). L’ambito del suo Magistero non è ristretto agli articoli di fede, ma investe il vasto campo della morale e del diritto naturale. Infatti, come avvertiva San Pio X, «tutte le azioni del cristiano sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della Chiesa in quanto sono buone o cattive dal punto di vista morale, cioè in quanto concordano o contrastano col diritto naturale e divino» [2]. In materia di fede e di costumi, perciò il Magistero della Chiesa è «norma prossima e universale di verità» [3]. Il relativismo nega invece il carattere assoluto della Verità e del Bene, per porre come unico criterio quello soggettivo dell’arbitrio umano, presentato come «autodeterminazione» e «liberazione» da ogni vincolo religioso, morale e perfino razionale. L’uomo, in tale prospettiva, è ridotto alla sua istintiva animalità, mera pulsione di istinti, «materia senziente», priva del lume della ragione. Le radici di questa concezione affondano nell’Umanesimo rinascimentale, nel «libero esame» protestante, nelle ideologie illuministe e marxiste, fasi diverse di quel proteiforme processo rivoluzionario che ha come mèta la distruzione totale della Civiltà cristiana e l’instaurazione dell’ anarchia. Questo processo rivoluzionario ha oggi un’espressione parossistica nella pretesa di promuovere l’omosessualità come un valore, e successivamente di imporla come modello di comportamento alla società intera. Tale è il significato della risoluzione approvata a Strasburgo l’8 febbraio 1994, con la quale il Parlamento Europeo chiede agli Stati membri di «aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelli eterosessuali» e di «intraprendere campagne […] contro tutte le forme di discriminazione». La Chiesa insegna, al contrario, che tra la verità e l’errore, tra il bene e il male, la discriminazione e il confine deve essere netto, così come, tra la visione cattolica e quella relativista, figlia di tutte le grandi correnti eversive della storia, l’antitesi è totale. La raccolta di testi che segue, prima nel suo genere, dimostra come la condanna dell’omosessualità da parte della Chiesa è costante e inequivoca. Questa condanna, nel corso dei secoli, è stata recepita e tradotta in leggi dal diritto europeo e ha permeato la coscienza collettiva dell’Occidente cristiano. Mai, in alcun modo, la Chiesa ha legittimato il vizio omosessuale.
Meno che mai può oggi accettarne la legalizzazione, che costituisce in sé un peccato ancora più grave della pratica privata dell’omosessualità. Per la Chiesa cattolica, l’omosessualità è un «crimine nefando» (San Pio V) che attira la collera divina e grida vendetta al cospetto di Dio (San Pio X). La ragione per cui Dio condannò alla distruzione le città di Sodoma e di Gomorra, immerse nel vizio contro natura fu, come ricorda san Pietro, perché ciò restasse nei secoli di esempio e divino ammonimento (2 Pt 2, 6-9). Come dimenticare il tragico destino di quelle città corrotte, nel momento in cui un Parlamento che presume di rappresentare la voce di tutti gli europei giunge dove neppure Sodoma e Gomorra erano arrivate, pretendendo di includere il peccato contro natura nella pubblica legislazione?
I. LA CONDANNA DELLA SACRA SCRITTURA
L’«abominio» del peccato contro natura
La Sacra Scrittura condanna ripetutamente, e con la massima severità, il peccato contro natura. Nell’Antico Testamento, ad esempio, il Libro del Levitico, che contiene le prescrizioni legali dettate da Dio a Mosé per preservare il popolo eletto dalla corruzione della fede e dei costumi, contiene una severa condanna della pratica omosessuale definita come «abominio» e prescrive per i colpevoli la pena di morte.
«Non accoppiarti con un maschio come si fà con la donna: è cosa abominevole […]. Tutti quelli che commetteranno tali azioni abominevoli, verranno sterminati di mezzo al popolo» (Lv 18, 22 e 29). «Se un maschio giace con un altro maschio come si fà con la donna, entrambi hanno commesso un abominio: vengano messi a morte, e il loro sangue ricada su di loro» (Lv 20,13). Analoga riprovazione viene espressa dai Profeti di Israele, come testimonia il successivo passo tratto da Isaia. «Il loro aspetto testimonia contro di loro: essi manifestano i loro peccati, come fece Sodoma, anziché nasconderli. Guai a loro! Essi si preparano la loro rovina»! (Is 3, 9).
Il castigo divino di Sodoma e Gomorra
La condanna della Bibbia non rimane a un livello meramente teorico, ma si manifesta nella punizione dei peccatori. L’esempio più noto e significativo è quello, tratto dal primo libro dell’Antico Testamento (il Genesi), in cui Dio invia due suoi angeli, in sembianze umane, per distruggere le città di Sodoma e di Gomorra, ormai corrose dal vizio contro natura, salvando il solo Loth con la sua famiglia. «Disse dunque il Signore (ad Abramo): “Il clamore delle colpe che mi giunge da Sodoma e da Gomorra è grande, e molto grave è il loro peccato” […]. Poi quei due (angeli) dissero a Loth: […] “Fà uscire da questo luogo generi, figli e figlie e tutti i tuoi parenti che si trovano in questa città, perché noi siamo giunti per distruggerla: grande è infatti il clamore dei peccati che da essa si è innalzato verso il Signore, e il Signore ci ha inviati per distruggerla” […]. Allora il Signore fece piovere dal cielo zolfo e fuoco su Sodoma e su Gomorra, e distrusse quelle città e tutta la pianura e tutti gli abitanti della città e ogni sorta di piante […]. Abramo intanto si era alzato di buon mattino per andare sul luogo dove prima si era fermato davanti al Signore, e, volgendo lo sguardo verso Sodoma e Gomorra e su tutta la regione di quella pianura, vide che dalla terra si alzava un fuoco simile al fumo di una fornace» (Gn 18, 20; 19, 12-13; 19, 24-28).
Commentando questo passo della Bibbia, molti Padri della Chiesa, al seguito di Tertulliano (155-230) [4] e dello storico Paolo Orosio (375-420) [5] testimoniarono poi che nella pianura in cui giacevano le due nefande città, e che oggi coincide col Mar Morto, «la terra puzza ancora d’incendio», per ammonire le generazioni future a non dimenticare la punizione divina. «Nel corso dei miei viaggi – affermò davanti ai suoi giudici il martire San Pionio († 250) – ho attraversato tutta la Giudea, ho oltrepassato il Giordano ed ho potuto contemplare quella terra che fino ai nostri giorni porta i segni della collera divina […]. Ho visto il fumo che ancor oggi sale dalle sue rovine e il suolo che il fuoco aveva ridotto in cenere, ho visto quella terra ormai colpita da siccità e sterilità. Ho visto il Mar Morto con la sua acqua che ha cambiato natura: si è atrofizzato per timore di Dio e non può più nutrire esseri viventi»[6].
L’Apostolo San Paolo esclude i sodomiti dalla salvezza
Il Nuovo Testamento non fà che confermare, con parole ancor più vigorose, questa condanna. In alcuni passi tratti dalle sue Lettere, San Paolo, l’Apostolo delle Genti, ci da una spiegazione profonda della rovina di Sodoma e Gomorra, collegando l’omosessualità con l’empietà, l’idolatria e l’omicidio. «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, fino al punto di disonorarsi a vicenda i corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato la creatura al posto del Creatore benedetto nei secoli. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne hanno mutato le unioni secondo natura quelle contro natura; allo stesso modo gli uomini, lasciando l’unione naturale con le donne, si sono accesi di passione fra maschi, ricevendo così in loro stessi la punizione che si addice al loro traviamento […]. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che condanna a morte chi commette tali azioni, essi non solo le commettono, ma persino approvano chi le compie» (Rm 1, 24-32). «La Legge non è fatta per il giusto, bensì per i cattivi e i ribelli, gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, i parricidi e i matricidi, gli impudichi e i sodomiti […] e per qualunque altro vizio contrario alla sana dottrina» (1 Tm 1, 9-10). Escludendo dalla salvezza coloro che praticano il vizio contro natura, l’Apostolo pronuncia per loro una condanna ben più grave della morte fisica: quella della morte eterna. «Non illudetevi! Né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti […] erediteranno il Regno di Dio»! (1 Cor, 6, 9-10).
San Pietro e San Giuda rievocano come divino ammonimento la distruzione di Sodoma
Analoga condanna viene espressa anche dal primo Papa, San Pietro, e dall’Apostolo San Giuda, che rievocano la distruzione di Sodoma e Gomorra presentandola come un divino ammonimento che serve a intimorire gli empi e a confortare i fedeli. «Se Dio condannò alla distruzione e ridusse in cenere le città di Sodoma e di Gomorra, lo fece perché ciò fosse di ammonizione per tutti i perversi in avvenire; e se liberò Lot, che era rattristato per la condotta di quegli uomini sfrenatamente dissoluti […], il Signore lo fece perché sa liberare dalla prova gli uomini pii e sa riservare gli empi alla punizione nel giorno del giudizio» (2 Pt 2, 6-9). «Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si erano abbandonate alla lussuria ed ai vizi contro natura, vengono portate come esempio per aver subito la pena del fuoco eterno» (Gd 7).
II. LA CONDANNA DEI PADRI E DEI DOTTORI DELLA CHIESA
Sant’Agostino: «I delitti compiuti dai sodomiti devono essere condannati ovunque e sempre»
Fin dalle origini, la Chiesa, facendo eco alla maledizione delle Sacre Scritture, ha condannato la pratica omosessuale per bocca dei santi Padri, scrittori ecclesiastici antichi riconosciuti come testimoni della Tradizione Divina. Fra i primi a pronunciarsi, fu il sommo Sant’Agostino (354 430), Vescovo d’Ippona e Dottore della Chiesa: «I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata» [7].
San Gregorio Magno: «Era giusto che i sodomiti perissero per mezzo del fuoco e dello zolfo»
San Gregorio I Papa (540-604), detto «Magno», Dottore della Chiesa, ravvisa nello zolfo, che si rovesciò su Sodoma il peccato della carne degli omosessuali. «Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal. Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l’onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso» [8].
San Giovanni Crisostomo: la passione omosessuale è diabolica
Il Padre della Chiesa che condannò con maggior frequenza l’abuso contro natura fu San Giovanni Crisostomo (344-407), Patriarca di Costantinopoli e Dottore della Chiesa, di cui riportiamo passi di un’omelia di commento all’Epistola di San Paolo ai Romani: «Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi […]. I peccati contro natura sono più difficili e meno remunerativi, tanto che non si può nemmeno affermare che essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non solo le loro (degli omosessuali; N.d.R.) passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche […]. Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L’omicida separa solo l’anima dal corpo, mentre costoro distruggono l’anima all’interno del corpo. Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi. Non c’è nulla, assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità» [9].
San Pier Damiani: «Questo vizio supera per gravità tutti gli altri vizi»
Durante tutto il Medioevo, ossia nel periodo di formazione della civiltà cristiana occidentale, la Chiesa non ha mai smesso di promuovere la virtù della temperanza e di rinnovare la condanna del vizio contro natura; in tal modo riuscì a ridurlo ad un fenomeno rarissimo e marginale. Fra i Santi che combatterono il vizio omosessuale nel Medioevo, uno dei più grandi fu San Pier Damiani (1007-1072), Dottore della Chiesa, riformatore dell’Ordine benedettino e sommo scrittore e predicatore. Nel suo Liber Gomorrhanus, scritto verso il 1051 per Papa San Leone IX (1002-1054), egli denuncia con grande vigore la rovina spirituale alla quale si condanna chi pratica tale vizio. «Si va diffondendo dalle nostre parti un vizio così gravemente nefasto e ignominioso, che se non vi si opporrà al più presto uno zelante intervento punitore, di certo la spada dell’ira divina infierirà enormemente annientando molti […]. Questa turpitudine viene giustamente considerato il peggiore fra i crimini, poiché sta scritto che l’onnipotente Iddio l’ebbe in odio sempre e allo stesso modo, tanto che mentre per gli altri vizi stabilì dei freni mediante il precetto legale, questo vizio volle condannarlo con la punizione della più rigorosa vendetta. Non si può nascondere infatti che Egli distrusse le due famigerate città di Sodoma e Gomorra, e tutte le zone confinanti, inviando dal cielo la pioggia di fuoco e zolfo […]. Ed è ben giusto che coloro che, contro la legge di natura e contro l’ordine dell’umana ragione, consegnano ai demoni la loro carne per godere di rapporti così schifosi, condividano con i demoni la cella della loro preghiera. Poiché infatti l’umana natura resiste profondamente a questi mali, aborrendo la mancanza del sesso opposto, e più chiaro della luce del sole che essa non gusterebbe mai di cose tanto perverse ed estranee se i sodomiti, divenuti quasi vasi d’ira destinati alla rovina, non fossero totalmente posseduti dallo spirito d’iniquità; e difatti questo spirito, dal momento in cui s’impadronisce di loro, ne riempie gli animi così gravemente di tutta la sua infernale malvagità, che essi bramano a bocca spalancata non ciò che viene sollecitato dal naturale appetito carnale, ma solo ciò che egli propone loro nella sua diabolica sollecitudine. Quando dunque il meschino si slancia in questo peccato d’impurità con un altro maschio, non lo fà per il naturale stimolo della carne, ma solo per diabolico impulso […]. Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, scaccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima, vi introduce il demonio istigatore della lussuria, induce nell’errore, svelle in radice la verità dalla mente ingannata, prepara insidie al viatore, lo getta in un abisso, ve lo chiude per non farlo più uscire, gli apre l’inferno, gli serra la porta del Paradiso, lo trasforma da cittadino della celeste Gerusalemme in erede dell’infernale Babilonia, da stella del cielo in paglia destinata al fuoco eterno, lo separa dalla comunione della Chiesa e lo getta nel vorace e ribollente fuoco infernale. Questo vizio si sforza di scardinare le mura della Patria celeste e di riparare quelle della combusta e rediviva Sodoma. Esso infatti viola l’austerità, estingue il pudore, schiavizza la castità, uccide l’irrecuperabile verginità col pugnale di un impuro contagio, insozza tutto, macchia tutto, contamina tutto, e per quanto può non permette che sopravviva nulla di puro, di casto, di estraneo al sudiciume […]. Questa pestilenziale tirannia di Sodoma rende gli uomini turpi e spinge all’odio verso Dio; trama nefaste guerre contro Dio; schiaccia i suoi schiavi sotto il peso dello spirito d’iniquità, recide il loro legame con gli angeli, sottrae l’infelice anima alla sua nobiltà sottomettendola al giogo del proprio dominio. Essa priva i suoi schiavi delle armi della virtù e li espone ad essere trapassati dalle saette di tutti i vizi. Essa li fa umiliare nella Chiesa, li fa condannare dalla giustizia, li contamina nel segreto, li rende ipocriti in pubblico, ne rode la coscienza come un verme, ne brucia le carni come un fuoco […]. Questa peste scuote il fondamento della fede, snerva la forza della speranza, dissipa il vincolo della carità, elimina la giustizia, scalza la fortezza, sottrae la temperanza, smorza l’acume della prudenza; e una volta che ha espulso ogni cuneo delle virtù dalla curia del cuore umano, vi intromette ogni barbarie di vizi […]. Non appena dunque uno cade in quest’abisso di estrema rovina, egli viene esiliato dalla Patria celeste, separato dal Corpo di Cristo, confutato dall’autorità della Chiesa universale, condannato dal giudizio dei santi Padri, disprezzato dagli uomini e respinto dalla comunione dei santi […]. Imparino dunque questi sciagurati a reprimere una così detestabile peste del vizio, a domare virilmente l’insidiosa lascivia della libidine, a trattenere i fastidiosi incentivi della carne, a temere visceralmente il terribile giudizio del divino rigore, tenendo sempre presente alla memoria quella minacciosa sentenza dell’Apostolo (Paolo) che esclama: “É terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Eb 10) […]. Come dice Mosè, “se c’è qualcuno che sta dalla parte di Dio, si unisca a me”! (Es 32). Se cioè qualcuno si riconosce come soldato di Dio, si accinga con fervore a confondere questo vizio, non trascuri di annientarlo con tutte le sue forze; e dovunque lo si sarà scoperto, si scagli contro di esso per trapassarlo ed eliminarlo con la acutissime frecce della parola» [10].
San Tommaso d’Aquino: l’omosessualità «offende Dio stesso come ordinatore della natura»
San Tommaso d’Aquino (1224-1274), il grande teologo domenicano proclamato dalla Chiesa «Dottore comune della cristianità, descrive nella sua eccelsa Summa Theologica l’omosessualità come il vizio contro natura più grave, equiparandolo al cannibalismo e alla bestialità. «L’intemperanza è sommamente riprovevole, per due ragioni. Innanzitutto perché ripugna sommamente all’umana eccellenza, trattandosi di piaceri che abbiamo in comune coi bruti […]. Secondariamente, perché ripugna sommamente alla nobiltà e al decoro, in quanto cioè nei piaceri riguardanti l’intemperanza viene offuscata la luce della ragione, dalla quale deriva tutta la nobiltà e la bellezza della virtù […]. I vizi della carne che riguardano l’intemperanza, benché siano meno gravi quanto alla colpa, sono però più gravi quanto all’infamia. Infatti, la gravità della colpa riguarda il traviamento dal fine, mentre l’infamia riguarda la turpitudine, che viene valutata soprattutto quanto all’indecenza del peccato […]. Ma i vizi che violano la regola dell’umana natura sono ancor più riprovevoli. Essi vanno ricondotti a quel tipo di intemperanza che ne costituisce in un certo modo l’eccesso: è questo il caso di coloro che godono nel cibarsi di carne umana, o nell’accoppiamento con bestie, o in quello sodomitico» [11]. Insomma, se l’ordine della retta ragione viene dall’uomo, invece l’ordine della natura proviene direttamente da Dio stesso. Pertanto, «nei peccati contro natura in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura» [12].
Santa Caterina da Siena: vizio maledetto schifato dagli stessi demoni
Anche la grande Santa Caterina da Siena (1347-1380), maestra di spiritualità, condannò in maniera veemente l’omosessualità. Nel suo Dialogo della divina Provvidenza, in cui riferisce gli insegnamenti ricevuti da Gesù stesso, ella così si esprime sul vizio contro natura: «Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, alla quale siete inclinati per la vostra fragile natura(benché la ragione, quando lo vuole il libero arbitrio, faccia star quieta questa ribellione), ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fà schifo a Me, che sono somma ed eterna purità (a cui è tanto abominevole, che per questo solo peccato cinque città sprofondarono per mio divino giudizio, non volendo più oltre sopportarle la mia giustizia), ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori. Non è che ai demoni dispiaccia il male, quasi che a loro piaccia un qualche bene, ma perché la loro natura è angelica, e perciò schiva di vedere o di stare a veder commettere quell’enorme peccato» [13].
San Bonaventura: nella notte di Natale «tutti i sodomiti morirono su tutta la terra»
Il francescano San Bonaventura (1217¬1274), Dottore della Chiesa con il titolo di Doctor Seraphicus, illustrando alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale afferma che: «Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo, “É nata una luce per il giusto”, per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità» [14].
San Bernardino da Siena: «La sodomia maledetta […] sconvolge l’intelletto»
Fra coloro che in quell’epoca parlarono e scrissero contro il risorgere di questo vizio, il più importante è forse il francescano San Bernardino da Siena (1380-1444), celebre predicatore insigne per dottrina e per santità. Egli proclamò nella sua Predica XXXIX: «Non vi è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello della sodomia maledetta; il quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che sono vissuti secondo Iddio […]. La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia; questo vizio sconvolge l’intelletto, spezza l’animo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l’animo agitato da insaziabile bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore […]. La ragione si è perché essi sono accecati, e dove arebbono i pensieri loro alle cose alte e grandi, come quelle che hanno l’animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili cose e a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare […]. Come della gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, così in inferno vi sono luoghi dove v’è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio della sodomia che un altro, poiché questo è maggior peccato che sia» [15].
San Pietro Canisio: i sodomiti violano la legge naturale e divina
Nel suo celebre Catechismo, il gesuita San Pietro Canisio (1521-1597), Dottore della Chiesa, così sintetizzava l’insegnamento della Chiesa: «Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e San Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. Difatti, la Scrittura denuncia l’enormità di una tale sconcezza con queste parole: “Lo scandalo dei sodomiti e dei gomorrani si è moltiplicato e il loro peccato si è troppo aggravato”. Pertanto gli angeli dissero al giusto Loth, che aborriva massimamente le turpitudini dei sodomiti: “Abbandoniamo questa città…” […]. La Sacra Scrittura non tace le cause che spinsero i sodomiti a questo gravissimo peccato e che possono spingere anche altri. Leggiamo infatti nel libro di Ezechiele: “Questa fu l’iniquità di Sodoma: la superbia, la sazietà di cibo ed abbondanza di beni, e l’ozio loro e delle loro figlie; non aiutarono il povero e il bisognoso, ma insuperbirono e fecero ciò che è abominevole al mio cospetto; per questo Io la distrussi” (Ez 16, 49-50). Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergo¬gnano di violare la legge divina e naturale» 16.
III. LE CONDANNE DEI PAPI, DEI CONCILÎ E DEL DIRITTO CANONICO
Alla condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa, si aggiunse, fin dai primi secoli, quella, costante, dei Concilî, dei Papi e del Diritto Canonico. Fin dal 305, il Concilio di Elvira in Spagna dispose, al Canone 71, che agli «stupratori di ragazzi» venisse negata la santa Comunione anche se in punto di morte [17]. Le pene canoniche di penitenza vennero poi stabilite nel 314 dal Concilio di Ancyra, al Canone 16. Il XVI Concilio di Toledo, tenutosi nel 693, al Canone § 3 condannò la pratica omosessuale come un vero e proprio crimine punibile con sanzioni giuridiche: il chierico veniva ridotto allo stato laicale e condannato all’esilio perpetuo, mentre il laico veniva scomunicato e, dopo aver subito la pena delle verghe, veniva anch’esso esiliato [18].
Successivamente, nel Concilio di Naplusa, tenutosi in Terrasanta nel 1120, vennero stabilite minuziose pene per i colpevoli di crimini contro natura, dalle più miti fino al rogo previsto per i recidivi [19]. Più autorevole ancora fu il pronunciamento del Concilio Ecumenico Lateranense III, tenutosi nel 1179, il quale, al Canone § 11, stabilì che «chiunque venga sorpreso a commettere quel peccato che è contro natura e a causa del quale “la collera di Dio piombò sui figli della disobbedienza” (Ef. 5, 6), se è chierico, venga decaduto dal suo stato e venga rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, venga scomunicato e rigorosamente tenuto lontano dalla comunità dei fedeli» [20].
San Pio V: «L’esecrabile vizio libidinoso contro natura»
Se lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva risuscitato le pratiche omosessuali, la riforma della Chiesa promossa dal Papato nel secolo XVI (più nota come Controriforma) provocò una tale riscossa delle virtù di fede e di purezza da risanare quasi dovunque gli ambienti, sia ecclesiastici che laici, che ne erano stati pervasi. Fra gli interventi del Magistero ecclesiastico al riguardo, il più solenne è quello di San Pio V (1504-1572), il grande Papa domenicano che in due Costituzioni condannò solennemente e proibì severamente il peccato contro natura. «Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze […]. Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione […]. Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado» [21]. «Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, N.d.R.) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile.
A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà, venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31). Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato, e per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile. Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum; N.d.R.), stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso» [22].
San Pio X: il peccato contro natura grida vendetta al cospetto di Dio
Durante l’Ottocento, la sensibilità esasperatamente sentimentale ed erotica, diffusa prima dal Romanticismo e poi più gravemente dal decadentismo, contribuì ad un certo risorgere dell’omosessualità, che però sembrava tenuto a freno da una convenzionale «morale laica» e si diffondeva nascondendosi ipocritamente sotto il velo dell’arte e della moda sensuali. Con l’inizio del nostro secolo, gli argini di questa «morale», ben presto destinati a crollare, cominciarono a cedere sotto il crescente impatto delle passioni sregolate, che influenzavano sempre più le classi colte e ricche e cominciavano a pretendere una legittimazione pubblica. La Chiesa pertanto ritenne necessario ribadire la condanna dei peccati risorgenti, compreso quello omosessuale. Segnaliamo al riguardo due fondamentali documenti promossi dal grande Pontefice San Pio X (1835-1914). Nel suo Catechismo del 1910, infatti, il «peccato impuro contro natura» è classificato per gravità come secondo, dopo l’omicidio volontario, fra i peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio» [23]. «Questi peccati – spiega il Catechismo – si dicono gridare al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi» [24].
Il Diritto Canonico prevedeva la pena dell’«infamia»
Nel Codice di Diritto Canonico, promosso da San Pio X, ma pubblicato da Benedetto XV (1854-1922) nel 1917, la sodomia è trattata tra i «delitti contro il sesto Comandamento» accanto all’incesto e ad altri delitti tra i quali la bestialità [25]. Il reato di sodomia è punito quanto ai laici con la pena dell’infamia ipso facto e con altre sanzioni da infliggersi a prudente giudizio del Vescovo in relazione alla gravità dei singoli casi (Canone 2357); e quanto agli ecclesiastici e ai religiosi, se si tratti di clerici minores (cioè di grado inferiore al diacono) con pene diverse, commisurate alla gravità della colpa, che possono arrivare fino alla dimissione dallo stato clericale (Canone 2358), e se si tratti di clerici maiores (cioè di diaconi, sacerdoti o Vescovi) con lo stabilire che «vengano sospesi, dichiarandoli infami, da ogni ufficio, beneficio, dignità, vengano privati dell’eventuale stipendio e, nei casi più gravi, vengano deposti» [26].
IV. LA CONDANNA DELLA CHIESA RECEPITA DALLA LEGISLAZIONE EUROPEA
Fin dalle sue origini, la Chiesa non si è limitata a condannare l’omosessualità o a prescrivere penitenze spirituali per chi la praticasse; essa ha anche usato tutta la sua influenza affinché le autorità civili adoperassero tutti i mezzi legali per evitare il diffondersi di tale peccato. La Chiesa ha agito in questo modo per obbligo di stretta fedeltà alla divina Rivelazione, che le impone di annunciare ai capi delle nazioni, ai governi ed agli Stati il loro preciso dovere di conformare le legislazioni e la concreta politica alla dottrina morale e sociale contenuta nelle Sacre Scritture e particolarmente nel Nuovo Testamento.
In concreto, ciò significa che secondo la Chiesa gli Stati hanno l’obbligo morale di condannare come crimine ciò che la Rivelazione condanna come peccato sociale, altrimenti sia i popoli che i loro capi dovranno subire le dure conseguenze della disobbedienza alla Legge divina; secondo le parole della Sapienza: «Ascoltate dunque, o sovrani, e sforzatevi di capire! Imparate, o capi dei popoli, e udite, voi che dominate le moltitudini e che vi gloriate di comandare a un gran numero di popoli! É dal Signore che ricevete il potere, e dall’Altissimo che vi è affidata la sovranità. Egli vaglierà le vostre opere e scruterà i vostri progetti, poiché voi, ministri del Suo regno, non avete ben governato né osservata la Legge né operato secondo i suoi santi decreti. Egli piomberà su di voi, terribile e inatteso, perché un severo giudizio è riservato a chi sta in alto. I piccoli sono degni di compassione e di clemenza, ma un esame ben più severo sovrasta i potenti» (Sap 6, 1-6).
Nel corso dei secoli, quindi, il diritto europeo si è rapidamente armonizzato con le disposizioni morali e canoniche della Chiesa, stabilendo che il peccato di sodomia andava considerato come un vero e proprio crimine, degno di essere non solo proibito dalla legge ma anche perseguito penalmente dalla autorità pubblica e dal potere civile.
Le disposizioni degli imperatori Costanzo, Costante e Teodosio
Il primo intervento legislativo contro l’omosessualità sancito da un’autorità politica cristiana, sembra essere stato emesso dagli imperatori Costanzo (317-361) e Costante (320-350), che nel IV secolo si erano divisi il comando dell’Impero romano di Occidente e d’Oriente. In una disposizione promulgata il 16 dicembre 342, essi scrissero in tono accorato: «Quando l’uomo si accoppia unendosi a maschi come se fosse una femmina cosa mai si brama, dato che il sesso sbaglia il suo oggetto? Che c’è una scelleratezza che non giova conoscere?, che l’amore viene invertito in altra forma?, che l’amore ricercato non può essere trovato? Comandiamo quindi che insorgano le leggi e che si armi il braccio della giustizia vendicatrice, affinché gli infami che sono o saranno colpevoli di tale delitto subiscano le pene più severe» [27].
Questa condanna venne poi recepita ed aggravata dall’imperatore Teodosio il Grande (347-395), discepolo di Sant’Ambrogio (339-397), che in una disposizione del suo Codex Theodosianus, datata al 390, stabilisce per i colpevoli la pena del rogo: «Tutti coloro che hanno la vergognosa abitudine di condannare il proprio corpo maschile alla sofferenza di un sesso diverso, facendogli svolgere un ruolo femminile (essi difatti in apparenza non sono diversi dalle donne), dovranno espiare un così grave crimine nelle fiamme vendicatrici» 28.
La punizione degli omosessuali secondo la legislazione di Giustiniano
La prima legislazione civile sistematica che si adeguò alla condanna sancita dal Diritto Canonico fu quella dell’imperatore d’Oriente Giustiniano (527-565). Nelle sue celebri Istituzioni di diritto civile, nelle quali riordinò e semplificò la legislazione romana antica riformandola alla luce del Vangelo, egli inserì una disposizione, sancita nel 538, in cui riprendeva la condanna dell’omosessualità già espressa dalla Lex Julia de adulteris, e prevedeva una severa repressione di tale vizio. «Poiché taluni, posseduti dalla forza del demonio, si abbandonarono alle più gravi nefandezze e fecero cose contrarie alla stessa natura, anche a costoro imponiamo di ospitare nel loro animo il timor di Dio e del giudizio venturo, e di astenersi da queste diaboliche e sconvenienti turpitudini, affinché a causa di tali empie azioni non vengano colpiti dalla giusta ira divina e le città non vengano fatte perire assieme ai loro abitanti. Ci insegnano infatti le Sacre Scritture che, per colpa di tali empie azioni, sono andate in rovina le intere città assieme ai singoli uomini […]. Per colpa di tali crimini, infatti, avvengono carestie, terremoti e pestilenze, e per questo ammoniamo costoro ad astenersi da tali delitti, per non perdere la loro anima. Se infatti, anche dopo questo nostro avvertimento, alcuni verranno colti nell’ostinarsi in questi delitti, ebbene, per prima cosa essi si renderanno indegni della clemenza di Dio, e inoltre dovranno anche subire i castighi previsti dalle leggi. Abbiamo infatti ordinato […] di catturare chi si ostina in tali sconvenienti ed empie azioni e di sottoporlo all’estremo supplizio, allo scopo di evitare che le città e lo Stato debbano subire danni a causa nella negligenza messa nel punire tali nefandezze» [29]. Il diritto europeo ha sempre punito l’omosessualità «dall’epoca medievale più antica fino all’età moderna». Così il noto giurista Pietro Agostino d’Avack (1905-1982) riassume l’evoluzione della legislazione europea che, dal diritto romano fino alle soglie dell’epoca moderna, ha sempre represso la pratica omosessuale: «Il diritto romano aveva fin da epoca antica formalmente condannato e punito l’omosessualità. Già sulla fine dell’età repubblicana, infatti, era stata emanata un’apposita legge, la Lex Scantinia, contro gli abusi maschili “inter ingenuos” […]. Leggi non meno severe é duramente repressive di tale aberrazione sessuale si riscontrano emanate nei secoli successivi da tutte le autorità civili dall’epoca medioevale più antica fino all’età moderna. Così, la “Lex Visigothica” condannava quelli “che si accoppiano con maschi o coloro che vi saranno sottomessi consenzienti” alla castrazione e al carcere duro e, se coniugati, all’immediata successione dei beni a favore dei propri figli ed eredi 30, e successivamente, oltre sempre la “castratio virium”, addirittura alla pena capitale [31] […]. A sua volta, nella nota collezione dei Capitolari Franchi di Ansegisio e Benedetto Levita […], sia coloro che avessero commercio sessuale con animali, sia quelli che si rendessero colpevoli di incesto, sia infine “coloro che si accoppiano fra maschi”, erano puniti con la pena capitale e, se eventualmente perdonati per via d’indulto, tenuti a sottoporsi alle penitenze canoniche imposte dalla Chiesa [32]. In un successivo Capitolare di Ludovico il Pio, poi, mentre si ribadiva per tali reati la pena del rogo richiamandosi alla legislazione romana, si giustificava tale severa sanzione in nome della stessa “salvezza della repubblica”, onde evitare cioè “che per colpa di tali peccati anche noi cadiamo col regno, e che perisca la gloria dell’intero regno” [33] […]. Nei secoli successivi, tale legislazione penale laica rimase sostanzialmente inalterata e fu, dal più al meno, quasi ovunque identica sia in Italia sia negli altri Stati europei, come ne fanno fede gli Statuti di Bologna del 1561, quelli di Ferrara del 1566, quelli di Milano, di Roma, delle Marche, ecc…, del secolo XVII, i Bandi fiorentini del 1542, del 1558 e del 1699, le Prammatiche siciliane del 1504, la Costituzione criminale carolina di Carlo V, quella teresiana di Maria Teresa, l’Ordinanza Regia portoghese, la Nova Recopilation spagnola, ecc… […]. A loro volta, gli Statuti Fiorentini, “aborrendo la putredine di quell’enorme crimine che è il vizio sodomitico, e volendo provvedere all’estirpazione di questo crimine, avevano sancito l’istituzione di otto Officiales Honestatis, i quali duravano in carica sei mesi ed erano specificamente deputati alla repressione di tale reato» [34].
La progressiva vanificazione della repressione legale
Nel corso dei secoli, le prescrizioni contro l’omosessualità, adeguandosi al suo diffondersi o estinguersi, diventarono di volta in volta più o meno severe, ma sempre efficaci. Nella nostra epoca però, col diffondersi della mentalità relativista e di una nuova morale libertaria e permissiva, le leggi in difesa della pubblica moralità sono state via via sempre più disattese, fino a diventare quasi del tutto inefficaci; in molte legislazioni sono state addirittura ufficialmente abrogate. In particolare, le prescrizioni riguardanti il peccato contro natura sono oggi quasi dappertutto scomparse, e la pratica omosessuale non è più considerata, per sé, come penalmente perseguibile. Non si era mai arrivati tuttavia ad un capovolgimento della della tradizione giuridica dell’Occidente cristiano simile a quello operato dal Parlamento Europeo con la risoluzione A3-0028/94 approvata l’8 febbraio 1994 nella quale l’Assemblea di Strasburgo chiede agli Stati Membri di «aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelle eterosessuali» compresi i diritti e i privilegi del matrimonio e la possibilità di adottare i bambini. La risoluzione invita inoltre gli Stati Membri a «intraprendere campagne in cooperazione con le organizzazioni nazionali delle lesbiche e dei gay, contro tutte le forme di discriminazione sociale nei confronti degli omosessuali». L’omosessualità cessa di essere una infrazione alla legge positiva e naturale, per divenire uno stile di vita e un modello di comportamento da estendere progressivamente a tutte le società. La promozione pubblica dell’omosessualità costituisce secondo la morale cattolica una colpa molto più grave della sua pratica privata. Essa rappresenta infatti l’approvazione ufficiale, da parte della autorità civile, di un peccato che dovrebbe essere invece pubblicamente condannato in nome del bene comune. Se nel passato gli ambienti omosessuali si limitavano a praticare il loro vizio, senza aspirare ad una giustificazione morale o ad una pubblica legalizzazione, è proprio questo che oggi essi pretendono di ottenere dai governi e persino dalla Chiesa.
Fattisi forti della tolleranza ottenuta nel corso del nostro secolo, tolleranza che ne ha aumentato il numero e l’influenza anche politica, oggi i circoli omosessuali organizzati pretendono di conquistare una posizione giuridica che consentirebbe loro di imporre all’opinione pubblica l’accoppiamento contro natura come una «scelta di vita» che deve godere di dignità, propaganda e favori pari a quelli finora tributati alla sola unione secondo natura. Il Magistero della Chiesa, nel condannare espressamente e ripetutamente la pratica omosessuale, a maggior ragione respinge con sdegno la proposta di legalizzare in qualsiasi forma le unioni contro natura.
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NOTE
1 Estratto dall’opera Chiesa e omosessualità, CCL, Roma 1995, a cura di FABIO BERNABEI.
2 Cfr. SAN PIO X, Lettera Enciclica Singulari quadam.
3 Cfr. PIO XII, Lettera Enciclica Humani Generis.
4 Cfr. TERTULLIANO, Apologetico, § 40.
5 Cfr. P. OROSIO, Historiæ eccles., I, 5.
6 Cfr. Pionio, Le gesta dei martiri, pagg. 112-113.
7 Cfr. SANT’AGOSTINO, Confessioni, cap. III, pag. 8.
8 Cfr. SAN GREGORIO MAGNO, Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, pag .371.
9 Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. XXXXVII, coll. 360-362.
10 Cfr. SAN PIER DAMIANI O.S.B., Liber Gomorrhanus, in Patrologia Latina, vol. CXXXV, coll. 159-190.
11 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO O.P., Summa Theologica, II-II, q. 142, a. 4.
12 Ibid., q. 154, a. 12.
13 Cfr. SANTA CATERINA DA SIENA, Dialogo della divina Provvidenza, cap. 124.
14 Cfr. SAN BONAVENTURA, Sermone XXI, In Nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, in Opera Omnia, vol. IX, pag. 123.
15 Cfr. SAN BERNARDINO DA SIENA O.F.M., Predica XXXIX, in Prediche volgari, pagg. 896-897 e 915.
16 Cfr. SAN PIETRO CANISIO S.J., Summa Doctrina Christianæ, III a/b, pag. 455.
17 Cfr. Canones Apostolorum et Conciliorum, pars altera, pag. 11.
18 Cfr. Conciliorum œcumenicorum collectio, vol. XII, col. 71.
19 Ibid., vol. XII, col. 264.
20 Ibid., vol. XXII, coll. 224 e ss.
21 Cfr. SAN PIO V, Costituzione Cum primum, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, vol. IV, cap. II, pagg. 284-286.
22 Cfr. SAN PIO V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, vol. IV, cap. III, pag. 33.
23 Cfr. SAN PIO X, Catechismo maggiore, nº 966.
24 Ibid., nº 967.
25 Cfr. R. NAZ, Traité de Droit Canonique, vol. IV, lib. V, pag. 761.
26 Cfr. Canone 2359, § 2; R. NAZ, op. cit., vol. VII, coll. 1064-1065.
27 Cfr. Corpo del Diritto, vol. II, 1. 9, § 31.
28 Cfr. Codex Theodosianus, IX, 7, 6.
29 Cfr. GIUSTINIANO IMPERATORE, Institutiones juris civilis, nov. LXXVII, c. 1, proemio e §§ 1-2.
30 Cfr. Monumenta Germaniæ Historica, lib. III, tit. V, cap. 5.
31 Ibid., cap. 7.
32 Ibid., lib. VII, cap. 273.
33 Add. IV, c. 21.
34 Cfr. P. A. D’AVACK, «L’omosessualità nel Diritto Canonico», in Ulisse, Anno VII, fasc. 18, primavera 1953, pagg. 682-685.
L’omosessualità, o sodomia, sempre considerata dalla coscienza cristiana e occidentale come un vizio obbrobrioso, rivendica oggi visibilità e diritti nella società. Secondo i fautori della nuova ideologia omosessualista, la coscienza civile, che un tempo bollava il peccato contro natura come abominevole, dovrebbe ora riconoscerlo come un bene in sé meritevole di tutela e protezione giuridica. La legge, che un tempo reprimeva l’omosessualità, dovrebbe invece promuoverla, castigando coloro che la rifiutano e la combattono pubblicamente. L’omosessualità, in questa prospettiva, non sarebbe un vizio, e neppure una malattia o deviazione di qualsiasi genere, ma una naturale tendenza umana, da assecondare e garantire, senza porsi il problema della sua moralità. Il Magistero della Chiesa cattolica si situa agli antipodi di questo nefasto relativismo. La Chiesa ha infatti come missione divina di insegnare la verità nel campo della fede e della morale, illuminata dalle parole di Gesù Cristo: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7, 16). L’ambito del suo Magistero non è ristretto agli articoli di fede, ma investe il vasto campo della morale e del diritto naturale. Infatti, come avvertiva San Pio X, «tutte le azioni del cristiano sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della Chiesa in quanto sono buone o cattive dal punto di vista morale, cioè in quanto concordano o contrastano col diritto naturale e divino» [2]. In materia di fede e di costumi, perciò il Magistero della Chiesa è «norma prossima e universale di verità» [3]. Il relativismo nega invece il carattere assoluto della Verità e del Bene, per porre come unico criterio quello soggettivo dell’arbitrio umano, presentato come «autodeterminazione» e «liberazione» da ogni vincolo religioso, morale e perfino razionale. L’uomo, in tale prospettiva, è ridotto alla sua istintiva animalità, mera pulsione di istinti, «materia senziente», priva del lume della ragione. Le radici di questa concezione affondano nell’Umanesimo rinascimentale, nel «libero esame» protestante, nelle ideologie illuministe e marxiste, fasi diverse di quel proteiforme processo rivoluzionario che ha come mèta la distruzione totale della Civiltà cristiana e l’instaurazione dell’ anarchia. Questo processo rivoluzionario ha oggi un’espressione parossistica nella pretesa di promuovere l’omosessualità come un valore, e successivamente di imporla come modello di comportamento alla società intera. Tale è il significato della risoluzione approvata a Strasburgo l’8 febbraio 1994, con la quale il Parlamento Europeo chiede agli Stati membri di «aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelli eterosessuali» e di «intraprendere campagne […] contro tutte le forme di discriminazione». La Chiesa insegna, al contrario, che tra la verità e l’errore, tra il bene e il male, la discriminazione e il confine deve essere netto, così come, tra la visione cattolica e quella relativista, figlia di tutte le grandi correnti eversive della storia, l’antitesi è totale. La raccolta di testi che segue, prima nel suo genere, dimostra come la condanna dell’omosessualità da parte della Chiesa è costante e inequivoca. Questa condanna, nel corso dei secoli, è stata recepita e tradotta in leggi dal diritto europeo e ha permeato la coscienza collettiva dell’Occidente cristiano. Mai, in alcun modo, la Chiesa ha legittimato il vizio omosessuale.
Meno che mai può oggi accettarne la legalizzazione, che costituisce in sé un peccato ancora più grave della pratica privata dell’omosessualità. Per la Chiesa cattolica, l’omosessualità è un «crimine nefando» (San Pio V) che attira la collera divina e grida vendetta al cospetto di Dio (San Pio X). La ragione per cui Dio condannò alla distruzione le città di Sodoma e di Gomorra, immerse nel vizio contro natura fu, come ricorda san Pietro, perché ciò restasse nei secoli di esempio e divino ammonimento (2 Pt 2, 6-9). Come dimenticare il tragico destino di quelle città corrotte, nel momento in cui un Parlamento che presume di rappresentare la voce di tutti gli europei giunge dove neppure Sodoma e Gomorra erano arrivate, pretendendo di includere il peccato contro natura nella pubblica legislazione?
I. LA CONDANNA DELLA SACRA SCRITTURA
L’«abominio» del peccato contro natura
La Sacra Scrittura condanna ripetutamente, e con la massima severità, il peccato contro natura. Nell’Antico Testamento, ad esempio, il Libro del Levitico, che contiene le prescrizioni legali dettate da Dio a Mosé per preservare il popolo eletto dalla corruzione della fede e dei costumi, contiene una severa condanna della pratica omosessuale definita come «abominio» e prescrive per i colpevoli la pena di morte.
«Non accoppiarti con un maschio come si fà con la donna: è cosa abominevole […]. Tutti quelli che commetteranno tali azioni abominevoli, verranno sterminati di mezzo al popolo» (Lv 18, 22 e 29). «Se un maschio giace con un altro maschio come si fà con la donna, entrambi hanno commesso un abominio: vengano messi a morte, e il loro sangue ricada su di loro» (Lv 20,13). Analoga riprovazione viene espressa dai Profeti di Israele, come testimonia il successivo passo tratto da Isaia. «Il loro aspetto testimonia contro di loro: essi manifestano i loro peccati, come fece Sodoma, anziché nasconderli. Guai a loro! Essi si preparano la loro rovina»! (Is 3, 9).
Il castigo divino di Sodoma e Gomorra
La condanna della Bibbia non rimane a un livello meramente teorico, ma si manifesta nella punizione dei peccatori. L’esempio più noto e significativo è quello, tratto dal primo libro dell’Antico Testamento (il Genesi), in cui Dio invia due suoi angeli, in sembianze umane, per distruggere le città di Sodoma e di Gomorra, ormai corrose dal vizio contro natura, salvando il solo Loth con la sua famiglia. «Disse dunque il Signore (ad Abramo): “Il clamore delle colpe che mi giunge da Sodoma e da Gomorra è grande, e molto grave è il loro peccato” […]. Poi quei due (angeli) dissero a Loth: […] “Fà uscire da questo luogo generi, figli e figlie e tutti i tuoi parenti che si trovano in questa città, perché noi siamo giunti per distruggerla: grande è infatti il clamore dei peccati che da essa si è innalzato verso il Signore, e il Signore ci ha inviati per distruggerla” […]. Allora il Signore fece piovere dal cielo zolfo e fuoco su Sodoma e su Gomorra, e distrusse quelle città e tutta la pianura e tutti gli abitanti della città e ogni sorta di piante […]. Abramo intanto si era alzato di buon mattino per andare sul luogo dove prima si era fermato davanti al Signore, e, volgendo lo sguardo verso Sodoma e Gomorra e su tutta la regione di quella pianura, vide che dalla terra si alzava un fuoco simile al fumo di una fornace» (Gn 18, 20; 19, 12-13; 19, 24-28).
Commentando questo passo della Bibbia, molti Padri della Chiesa, al seguito di Tertulliano (155-230) [4] e dello storico Paolo Orosio (375-420) [5] testimoniarono poi che nella pianura in cui giacevano le due nefande città, e che oggi coincide col Mar Morto, «la terra puzza ancora d’incendio», per ammonire le generazioni future a non dimenticare la punizione divina. «Nel corso dei miei viaggi – affermò davanti ai suoi giudici il martire San Pionio († 250) – ho attraversato tutta la Giudea, ho oltrepassato il Giordano ed ho potuto contemplare quella terra che fino ai nostri giorni porta i segni della collera divina […]. Ho visto il fumo che ancor oggi sale dalle sue rovine e il suolo che il fuoco aveva ridotto in cenere, ho visto quella terra ormai colpita da siccità e sterilità. Ho visto il Mar Morto con la sua acqua che ha cambiato natura: si è atrofizzato per timore di Dio e non può più nutrire esseri viventi»[6].
L’Apostolo San Paolo esclude i sodomiti dalla salvezza
Il Nuovo Testamento non fà che confermare, con parole ancor più vigorose, questa condanna. In alcuni passi tratti dalle sue Lettere, San Paolo, l’Apostolo delle Genti, ci da una spiegazione profonda della rovina di Sodoma e Gomorra, collegando l’omosessualità con l’empietà, l’idolatria e l’omicidio. «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, fino al punto di disonorarsi a vicenda i corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato la creatura al posto del Creatore benedetto nei secoli. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne hanno mutato le unioni secondo natura quelle contro natura; allo stesso modo gli uomini, lasciando l’unione naturale con le donne, si sono accesi di passione fra maschi, ricevendo così in loro stessi la punizione che si addice al loro traviamento […]. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che condanna a morte chi commette tali azioni, essi non solo le commettono, ma persino approvano chi le compie» (Rm 1, 24-32). «La Legge non è fatta per il giusto, bensì per i cattivi e i ribelli, gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, i parricidi e i matricidi, gli impudichi e i sodomiti […] e per qualunque altro vizio contrario alla sana dottrina» (1 Tm 1, 9-10). Escludendo dalla salvezza coloro che praticano il vizio contro natura, l’Apostolo pronuncia per loro una condanna ben più grave della morte fisica: quella della morte eterna. «Non illudetevi! Né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti […] erediteranno il Regno di Dio»! (1 Cor, 6, 9-10).
San Pietro e San Giuda rievocano come divino ammonimento la distruzione di Sodoma
Analoga condanna viene espressa anche dal primo Papa, San Pietro, e dall’Apostolo San Giuda, che rievocano la distruzione di Sodoma e Gomorra presentandola come un divino ammonimento che serve a intimorire gli empi e a confortare i fedeli. «Se Dio condannò alla distruzione e ridusse in cenere le città di Sodoma e di Gomorra, lo fece perché ciò fosse di ammonizione per tutti i perversi in avvenire; e se liberò Lot, che era rattristato per la condotta di quegli uomini sfrenatamente dissoluti […], il Signore lo fece perché sa liberare dalla prova gli uomini pii e sa riservare gli empi alla punizione nel giorno del giudizio» (2 Pt 2, 6-9). «Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si erano abbandonate alla lussuria ed ai vizi contro natura, vengono portate come esempio per aver subito la pena del fuoco eterno» (Gd 7).
II. LA CONDANNA DEI PADRI E DEI DOTTORI DELLA CHIESA
Sant’Agostino: «I delitti compiuti dai sodomiti devono essere condannati ovunque e sempre»
Fin dalle origini, la Chiesa, facendo eco alla maledizione delle Sacre Scritture, ha condannato la pratica omosessuale per bocca dei santi Padri, scrittori ecclesiastici antichi riconosciuti come testimoni della Tradizione Divina. Fra i primi a pronunciarsi, fu il sommo Sant’Agostino (354 430), Vescovo d’Ippona e Dottore della Chiesa: «I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Quand’anche tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina: Dio infatti non ha creato gli uomini perché commettessero un tale abuso di loro stessi. Quando, mossi da una perversa passione, si profana la natura stessa che Dio ha creato, è la stessa unione che deve esistere fra Dio e noi a venire violata» [7].
San Gregorio Magno: «Era giusto che i sodomiti perissero per mezzo del fuoco e dello zolfo»
San Gregorio I Papa (540-604), detto «Magno», Dottore della Chiesa, ravvisa nello zolfo, che si rovesciò su Sodoma il peccato della carne degli omosessuali. «Che lo zolfo evochi i fetori della carne, lo conferma la storia stessa della Sacra Scrittura, quando parla della pioggia di fuoco e zolfo versata su Sodoma dal. Signore. Egli aveva deciso di punire in essa i crimini della carne, e il tipo stesso del suo castigo metteva in risalto l’onta di quel crimine. Perché lo zolfo emana fetore, il fuoco arde. Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso» [8].
San Giovanni Crisostomo: la passione omosessuale è diabolica
Il Padre della Chiesa che condannò con maggior frequenza l’abuso contro natura fu San Giovanni Crisostomo (344-407), Patriarca di Costantinopoli e Dottore della Chiesa, di cui riportiamo passi di un’omelia di commento all’Epistola di San Paolo ai Romani: «Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi […]. I peccati contro natura sono più difficili e meno remunerativi, tanto che non si può nemmeno affermare che essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non solo le loro (degli omosessuali; N.d.R.) passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche […]. Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L’omicida separa solo l’anima dal corpo, mentre costoro distruggono l’anima all’interno del corpo. Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi. Non c’è nulla, assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità» [9].
San Pier Damiani: «Questo vizio supera per gravità tutti gli altri vizi»
Durante tutto il Medioevo, ossia nel periodo di formazione della civiltà cristiana occidentale, la Chiesa non ha mai smesso di promuovere la virtù della temperanza e di rinnovare la condanna del vizio contro natura; in tal modo riuscì a ridurlo ad un fenomeno rarissimo e marginale. Fra i Santi che combatterono il vizio omosessuale nel Medioevo, uno dei più grandi fu San Pier Damiani (1007-1072), Dottore della Chiesa, riformatore dell’Ordine benedettino e sommo scrittore e predicatore. Nel suo Liber Gomorrhanus, scritto verso il 1051 per Papa San Leone IX (1002-1054), egli denuncia con grande vigore la rovina spirituale alla quale si condanna chi pratica tale vizio. «Si va diffondendo dalle nostre parti un vizio così gravemente nefasto e ignominioso, che se non vi si opporrà al più presto uno zelante intervento punitore, di certo la spada dell’ira divina infierirà enormemente annientando molti […]. Questa turpitudine viene giustamente considerato il peggiore fra i crimini, poiché sta scritto che l’onnipotente Iddio l’ebbe in odio sempre e allo stesso modo, tanto che mentre per gli altri vizi stabilì dei freni mediante il precetto legale, questo vizio volle condannarlo con la punizione della più rigorosa vendetta. Non si può nascondere infatti che Egli distrusse le due famigerate città di Sodoma e Gomorra, e tutte le zone confinanti, inviando dal cielo la pioggia di fuoco e zolfo […]. Ed è ben giusto che coloro che, contro la legge di natura e contro l’ordine dell’umana ragione, consegnano ai demoni la loro carne per godere di rapporti così schifosi, condividano con i demoni la cella della loro preghiera. Poiché infatti l’umana natura resiste profondamente a questi mali, aborrendo la mancanza del sesso opposto, e più chiaro della luce del sole che essa non gusterebbe mai di cose tanto perverse ed estranee se i sodomiti, divenuti quasi vasi d’ira destinati alla rovina, non fossero totalmente posseduti dallo spirito d’iniquità; e difatti questo spirito, dal momento in cui s’impadronisce di loro, ne riempie gli animi così gravemente di tutta la sua infernale malvagità, che essi bramano a bocca spalancata non ciò che viene sollecitato dal naturale appetito carnale, ma solo ciò che egli propone loro nella sua diabolica sollecitudine. Quando dunque il meschino si slancia in questo peccato d’impurità con un altro maschio, non lo fà per il naturale stimolo della carne, ma solo per diabolico impulso […]. Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, scaccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima, vi introduce il demonio istigatore della lussuria, induce nell’errore, svelle in radice la verità dalla mente ingannata, prepara insidie al viatore, lo getta in un abisso, ve lo chiude per non farlo più uscire, gli apre l’inferno, gli serra la porta del Paradiso, lo trasforma da cittadino della celeste Gerusalemme in erede dell’infernale Babilonia, da stella del cielo in paglia destinata al fuoco eterno, lo separa dalla comunione della Chiesa e lo getta nel vorace e ribollente fuoco infernale. Questo vizio si sforza di scardinare le mura della Patria celeste e di riparare quelle della combusta e rediviva Sodoma. Esso infatti viola l’austerità, estingue il pudore, schiavizza la castità, uccide l’irrecuperabile verginità col pugnale di un impuro contagio, insozza tutto, macchia tutto, contamina tutto, e per quanto può non permette che sopravviva nulla di puro, di casto, di estraneo al sudiciume […]. Questa pestilenziale tirannia di Sodoma rende gli uomini turpi e spinge all’odio verso Dio; trama nefaste guerre contro Dio; schiaccia i suoi schiavi sotto il peso dello spirito d’iniquità, recide il loro legame con gli angeli, sottrae l’infelice anima alla sua nobiltà sottomettendola al giogo del proprio dominio. Essa priva i suoi schiavi delle armi della virtù e li espone ad essere trapassati dalle saette di tutti i vizi. Essa li fa umiliare nella Chiesa, li fa condannare dalla giustizia, li contamina nel segreto, li rende ipocriti in pubblico, ne rode la coscienza come un verme, ne brucia le carni come un fuoco […]. Questa peste scuote il fondamento della fede, snerva la forza della speranza, dissipa il vincolo della carità, elimina la giustizia, scalza la fortezza, sottrae la temperanza, smorza l’acume della prudenza; e una volta che ha espulso ogni cuneo delle virtù dalla curia del cuore umano, vi intromette ogni barbarie di vizi […]. Non appena dunque uno cade in quest’abisso di estrema rovina, egli viene esiliato dalla Patria celeste, separato dal Corpo di Cristo, confutato dall’autorità della Chiesa universale, condannato dal giudizio dei santi Padri, disprezzato dagli uomini e respinto dalla comunione dei santi […]. Imparino dunque questi sciagurati a reprimere una così detestabile peste del vizio, a domare virilmente l’insidiosa lascivia della libidine, a trattenere i fastidiosi incentivi della carne, a temere visceralmente il terribile giudizio del divino rigore, tenendo sempre presente alla memoria quella minacciosa sentenza dell’Apostolo (Paolo) che esclama: “É terribile cadere nelle mani del Dio vivente” (Eb 10) […]. Come dice Mosè, “se c’è qualcuno che sta dalla parte di Dio, si unisca a me”! (Es 32). Se cioè qualcuno si riconosce come soldato di Dio, si accinga con fervore a confondere questo vizio, non trascuri di annientarlo con tutte le sue forze; e dovunque lo si sarà scoperto, si scagli contro di esso per trapassarlo ed eliminarlo con la acutissime frecce della parola» [10].
San Tommaso d’Aquino: l’omosessualità «offende Dio stesso come ordinatore della natura»
San Tommaso d’Aquino (1224-1274), il grande teologo domenicano proclamato dalla Chiesa «Dottore comune della cristianità, descrive nella sua eccelsa Summa Theologica l’omosessualità come il vizio contro natura più grave, equiparandolo al cannibalismo e alla bestialità. «L’intemperanza è sommamente riprovevole, per due ragioni. Innanzitutto perché ripugna sommamente all’umana eccellenza, trattandosi di piaceri che abbiamo in comune coi bruti […]. Secondariamente, perché ripugna sommamente alla nobiltà e al decoro, in quanto cioè nei piaceri riguardanti l’intemperanza viene offuscata la luce della ragione, dalla quale deriva tutta la nobiltà e la bellezza della virtù […]. I vizi della carne che riguardano l’intemperanza, benché siano meno gravi quanto alla colpa, sono però più gravi quanto all’infamia. Infatti, la gravità della colpa riguarda il traviamento dal fine, mentre l’infamia riguarda la turpitudine, che viene valutata soprattutto quanto all’indecenza del peccato […]. Ma i vizi che violano la regola dell’umana natura sono ancor più riprovevoli. Essi vanno ricondotti a quel tipo di intemperanza che ne costituisce in un certo modo l’eccesso: è questo il caso di coloro che godono nel cibarsi di carne umana, o nell’accoppiamento con bestie, o in quello sodomitico» [11]. Insomma, se l’ordine della retta ragione viene dall’uomo, invece l’ordine della natura proviene direttamente da Dio stesso. Pertanto, «nei peccati contro natura in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura» [12].
Santa Caterina da Siena: vizio maledetto schifato dagli stessi demoni
Anche la grande Santa Caterina da Siena (1347-1380), maestra di spiritualità, condannò in maniera veemente l’omosessualità. Nel suo Dialogo della divina Provvidenza, in cui riferisce gli insegnamenti ricevuti da Gesù stesso, ella così si esprime sul vizio contro natura: «Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, alla quale siete inclinati per la vostra fragile natura(benché la ragione, quando lo vuole il libero arbitrio, faccia star quieta questa ribellione), ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fà schifo a Me, che sono somma ed eterna purità (a cui è tanto abominevole, che per questo solo peccato cinque città sprofondarono per mio divino giudizio, non volendo più oltre sopportarle la mia giustizia), ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori. Non è che ai demoni dispiaccia il male, quasi che a loro piaccia un qualche bene, ma perché la loro natura è angelica, e perciò schiva di vedere o di stare a veder commettere quell’enorme peccato» [13].
San Bonaventura: nella notte di Natale «tutti i sodomiti morirono su tutta la terra»
Il francescano San Bonaventura (1217¬1274), Dottore della Chiesa con il titolo di Doctor Seraphicus, illustrando alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale afferma che: «Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo, “É nata una luce per il giusto”, per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità» [14].
San Bernardino da Siena: «La sodomia maledetta […] sconvolge l’intelletto»
Fra coloro che in quell’epoca parlarono e scrissero contro il risorgere di questo vizio, il più importante è forse il francescano San Bernardino da Siena (1380-1444), celebre predicatore insigne per dottrina e per santità. Egli proclamò nella sua Predica XXXIX: «Non vi è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello della sodomia maledetta; il quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che sono vissuti secondo Iddio […]. La passione per delle forme indebite è prossima alla pazzia; questo vizio sconvolge l’intelletto, spezza l’animo elevato e generoso, trascina dai grandi pensieri agli infimi, rende pusillanimi, iracondi, ostinati e induriti, servilmente blandi e incapaci di tutto; inoltre, essendo l’animo agitato da insaziabile bramosia di godere, non segue la ragione ma il furore […]. La ragione si è perché essi sono accecati, e dove arebbono i pensieri loro alle cose alte e grandi, come quelle che hanno l’animo magno, gli rompe e gli fracassa e riduceli a vili cose e a disutili e fracide e putride, e mai questi tali non si possono contentare […]. Come della gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, così in inferno vi sono luoghi dove v’è più pene, e più ne sente uno che un altro. Più pena sente uno che sia vissuto con questo vizio della sodomia che un altro, poiché questo è maggior peccato che sia» [15].
San Pietro Canisio: i sodomiti violano la legge naturale e divina
Nel suo celebre Catechismo, il gesuita San Pietro Canisio (1521-1597), Dottore della Chiesa, così sintetizzava l’insegnamento della Chiesa: «Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e San Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. Difatti, la Scrittura denuncia l’enormità di una tale sconcezza con queste parole: “Lo scandalo dei sodomiti e dei gomorrani si è moltiplicato e il loro peccato si è troppo aggravato”. Pertanto gli angeli dissero al giusto Loth, che aborriva massimamente le turpitudini dei sodomiti: “Abbandoniamo questa città…” […]. La Sacra Scrittura non tace le cause che spinsero i sodomiti a questo gravissimo peccato e che possono spingere anche altri. Leggiamo infatti nel libro di Ezechiele: “Questa fu l’iniquità di Sodoma: la superbia, la sazietà di cibo ed abbondanza di beni, e l’ozio loro e delle loro figlie; non aiutarono il povero e il bisognoso, ma insuperbirono e fecero ciò che è abominevole al mio cospetto; per questo Io la distrussi” (Ez 16, 49-50). Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergo¬gnano di violare la legge divina e naturale» 16.
III. LE CONDANNE DEI PAPI, DEI CONCILÎ E DEL DIRITTO CANONICO
Alla condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa, si aggiunse, fin dai primi secoli, quella, costante, dei Concilî, dei Papi e del Diritto Canonico. Fin dal 305, il Concilio di Elvira in Spagna dispose, al Canone 71, che agli «stupratori di ragazzi» venisse negata la santa Comunione anche se in punto di morte [17]. Le pene canoniche di penitenza vennero poi stabilite nel 314 dal Concilio di Ancyra, al Canone 16. Il XVI Concilio di Toledo, tenutosi nel 693, al Canone § 3 condannò la pratica omosessuale come un vero e proprio crimine punibile con sanzioni giuridiche: il chierico veniva ridotto allo stato laicale e condannato all’esilio perpetuo, mentre il laico veniva scomunicato e, dopo aver subito la pena delle verghe, veniva anch’esso esiliato [18].
Successivamente, nel Concilio di Naplusa, tenutosi in Terrasanta nel 1120, vennero stabilite minuziose pene per i colpevoli di crimini contro natura, dalle più miti fino al rogo previsto per i recidivi [19]. Più autorevole ancora fu il pronunciamento del Concilio Ecumenico Lateranense III, tenutosi nel 1179, il quale, al Canone § 11, stabilì che «chiunque venga sorpreso a commettere quel peccato che è contro natura e a causa del quale “la collera di Dio piombò sui figli della disobbedienza” (Ef. 5, 6), se è chierico, venga decaduto dal suo stato e venga rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, venga scomunicato e rigorosamente tenuto lontano dalla comunità dei fedeli» [20].
San Pio V: «L’esecrabile vizio libidinoso contro natura»
Se lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva risuscitato le pratiche omosessuali, la riforma della Chiesa promossa dal Papato nel secolo XVI (più nota come Controriforma) provocò una tale riscossa delle virtù di fede e di purezza da risanare quasi dovunque gli ambienti, sia ecclesiastici che laici, che ne erano stati pervasi. Fra gli interventi del Magistero ecclesiastico al riguardo, il più solenne è quello di San Pio V (1504-1572), il grande Papa domenicano che in due Costituzioni condannò solennemente e proibì severamente il peccato contro natura. «Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze […]. Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione […]. Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado» [21]. «Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, N.d.R.) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile.
A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà, venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31). Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato, e per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile. Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum; N.d.R.), stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso» [22].
San Pio X: il peccato contro natura grida vendetta al cospetto di Dio
Durante l’Ottocento, la sensibilità esasperatamente sentimentale ed erotica, diffusa prima dal Romanticismo e poi più gravemente dal decadentismo, contribuì ad un certo risorgere dell’omosessualità, che però sembrava tenuto a freno da una convenzionale «morale laica» e si diffondeva nascondendosi ipocritamente sotto il velo dell’arte e della moda sensuali. Con l’inizio del nostro secolo, gli argini di questa «morale», ben presto destinati a crollare, cominciarono a cedere sotto il crescente impatto delle passioni sregolate, che influenzavano sempre più le classi colte e ricche e cominciavano a pretendere una legittimazione pubblica. La Chiesa pertanto ritenne necessario ribadire la condanna dei peccati risorgenti, compreso quello omosessuale. Segnaliamo al riguardo due fondamentali documenti promossi dal grande Pontefice San Pio X (1835-1914). Nel suo Catechismo del 1910, infatti, il «peccato impuro contro natura» è classificato per gravità come secondo, dopo l’omicidio volontario, fra i peccati che «gridano vendetta al cospetto di Dio» [23]. «Questi peccati – spiega il Catechismo – si dicono gridare al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi» [24].
Il Diritto Canonico prevedeva la pena dell’«infamia»
Nel Codice di Diritto Canonico, promosso da San Pio X, ma pubblicato da Benedetto XV (1854-1922) nel 1917, la sodomia è trattata tra i «delitti contro il sesto Comandamento» accanto all’incesto e ad altri delitti tra i quali la bestialità [25]. Il reato di sodomia è punito quanto ai laici con la pena dell’infamia ipso facto e con altre sanzioni da infliggersi a prudente giudizio del Vescovo in relazione alla gravità dei singoli casi (Canone 2357); e quanto agli ecclesiastici e ai religiosi, se si tratti di clerici minores (cioè di grado inferiore al diacono) con pene diverse, commisurate alla gravità della colpa, che possono arrivare fino alla dimissione dallo stato clericale (Canone 2358), e se si tratti di clerici maiores (cioè di diaconi, sacerdoti o Vescovi) con lo stabilire che «vengano sospesi, dichiarandoli infami, da ogni ufficio, beneficio, dignità, vengano privati dell’eventuale stipendio e, nei casi più gravi, vengano deposti» [26].
IV. LA CONDANNA DELLA CHIESA RECEPITA DALLA LEGISLAZIONE EUROPEA
Fin dalle sue origini, la Chiesa non si è limitata a condannare l’omosessualità o a prescrivere penitenze spirituali per chi la praticasse; essa ha anche usato tutta la sua influenza affinché le autorità civili adoperassero tutti i mezzi legali per evitare il diffondersi di tale peccato. La Chiesa ha agito in questo modo per obbligo di stretta fedeltà alla divina Rivelazione, che le impone di annunciare ai capi delle nazioni, ai governi ed agli Stati il loro preciso dovere di conformare le legislazioni e la concreta politica alla dottrina morale e sociale contenuta nelle Sacre Scritture e particolarmente nel Nuovo Testamento.
In concreto, ciò significa che secondo la Chiesa gli Stati hanno l’obbligo morale di condannare come crimine ciò che la Rivelazione condanna come peccato sociale, altrimenti sia i popoli che i loro capi dovranno subire le dure conseguenze della disobbedienza alla Legge divina; secondo le parole della Sapienza: «Ascoltate dunque, o sovrani, e sforzatevi di capire! Imparate, o capi dei popoli, e udite, voi che dominate le moltitudini e che vi gloriate di comandare a un gran numero di popoli! É dal Signore che ricevete il potere, e dall’Altissimo che vi è affidata la sovranità. Egli vaglierà le vostre opere e scruterà i vostri progetti, poiché voi, ministri del Suo regno, non avete ben governato né osservata la Legge né operato secondo i suoi santi decreti. Egli piomberà su di voi, terribile e inatteso, perché un severo giudizio è riservato a chi sta in alto. I piccoli sono degni di compassione e di clemenza, ma un esame ben più severo sovrasta i potenti» (Sap 6, 1-6).
Nel corso dei secoli, quindi, il diritto europeo si è rapidamente armonizzato con le disposizioni morali e canoniche della Chiesa, stabilendo che il peccato di sodomia andava considerato come un vero e proprio crimine, degno di essere non solo proibito dalla legge ma anche perseguito penalmente dalla autorità pubblica e dal potere civile.
Le disposizioni degli imperatori Costanzo, Costante e Teodosio
Il primo intervento legislativo contro l’omosessualità sancito da un’autorità politica cristiana, sembra essere stato emesso dagli imperatori Costanzo (317-361) e Costante (320-350), che nel IV secolo si erano divisi il comando dell’Impero romano di Occidente e d’Oriente. In una disposizione promulgata il 16 dicembre 342, essi scrissero in tono accorato: «Quando l’uomo si accoppia unendosi a maschi come se fosse una femmina cosa mai si brama, dato che il sesso sbaglia il suo oggetto? Che c’è una scelleratezza che non giova conoscere?, che l’amore viene invertito in altra forma?, che l’amore ricercato non può essere trovato? Comandiamo quindi che insorgano le leggi e che si armi il braccio della giustizia vendicatrice, affinché gli infami che sono o saranno colpevoli di tale delitto subiscano le pene più severe» [27].
Questa condanna venne poi recepita ed aggravata dall’imperatore Teodosio il Grande (347-395), discepolo di Sant’Ambrogio (339-397), che in una disposizione del suo Codex Theodosianus, datata al 390, stabilisce per i colpevoli la pena del rogo: «Tutti coloro che hanno la vergognosa abitudine di condannare il proprio corpo maschile alla sofferenza di un sesso diverso, facendogli svolgere un ruolo femminile (essi difatti in apparenza non sono diversi dalle donne), dovranno espiare un così grave crimine nelle fiamme vendicatrici» 28.
La punizione degli omosessuali secondo la legislazione di Giustiniano
La prima legislazione civile sistematica che si adeguò alla condanna sancita dal Diritto Canonico fu quella dell’imperatore d’Oriente Giustiniano (527-565). Nelle sue celebri Istituzioni di diritto civile, nelle quali riordinò e semplificò la legislazione romana antica riformandola alla luce del Vangelo, egli inserì una disposizione, sancita nel 538, in cui riprendeva la condanna dell’omosessualità già espressa dalla Lex Julia de adulteris, e prevedeva una severa repressione di tale vizio. «Poiché taluni, posseduti dalla forza del demonio, si abbandonarono alle più gravi nefandezze e fecero cose contrarie alla stessa natura, anche a costoro imponiamo di ospitare nel loro animo il timor di Dio e del giudizio venturo, e di astenersi da queste diaboliche e sconvenienti turpitudini, affinché a causa di tali empie azioni non vengano colpiti dalla giusta ira divina e le città non vengano fatte perire assieme ai loro abitanti. Ci insegnano infatti le Sacre Scritture che, per colpa di tali empie azioni, sono andate in rovina le intere città assieme ai singoli uomini […]. Per colpa di tali crimini, infatti, avvengono carestie, terremoti e pestilenze, e per questo ammoniamo costoro ad astenersi da tali delitti, per non perdere la loro anima. Se infatti, anche dopo questo nostro avvertimento, alcuni verranno colti nell’ostinarsi in questi delitti, ebbene, per prima cosa essi si renderanno indegni della clemenza di Dio, e inoltre dovranno anche subire i castighi previsti dalle leggi. Abbiamo infatti ordinato […] di catturare chi si ostina in tali sconvenienti ed empie azioni e di sottoporlo all’estremo supplizio, allo scopo di evitare che le città e lo Stato debbano subire danni a causa nella negligenza messa nel punire tali nefandezze» [29]. Il diritto europeo ha sempre punito l’omosessualità «dall’epoca medievale più antica fino all’età moderna». Così il noto giurista Pietro Agostino d’Avack (1905-1982) riassume l’evoluzione della legislazione europea che, dal diritto romano fino alle soglie dell’epoca moderna, ha sempre represso la pratica omosessuale: «Il diritto romano aveva fin da epoca antica formalmente condannato e punito l’omosessualità. Già sulla fine dell’età repubblicana, infatti, era stata emanata un’apposita legge, la Lex Scantinia, contro gli abusi maschili “inter ingenuos” […]. Leggi non meno severe é duramente repressive di tale aberrazione sessuale si riscontrano emanate nei secoli successivi da tutte le autorità civili dall’epoca medioevale più antica fino all’età moderna. Così, la “Lex Visigothica” condannava quelli “che si accoppiano con maschi o coloro che vi saranno sottomessi consenzienti” alla castrazione e al carcere duro e, se coniugati, all’immediata successione dei beni a favore dei propri figli ed eredi 30, e successivamente, oltre sempre la “castratio virium”, addirittura alla pena capitale [31] […]. A sua volta, nella nota collezione dei Capitolari Franchi di Ansegisio e Benedetto Levita […], sia coloro che avessero commercio sessuale con animali, sia quelli che si rendessero colpevoli di incesto, sia infine “coloro che si accoppiano fra maschi”, erano puniti con la pena capitale e, se eventualmente perdonati per via d’indulto, tenuti a sottoporsi alle penitenze canoniche imposte dalla Chiesa [32]. In un successivo Capitolare di Ludovico il Pio, poi, mentre si ribadiva per tali reati la pena del rogo richiamandosi alla legislazione romana, si giustificava tale severa sanzione in nome della stessa “salvezza della repubblica”, onde evitare cioè “che per colpa di tali peccati anche noi cadiamo col regno, e che perisca la gloria dell’intero regno” [33] […]. Nei secoli successivi, tale legislazione penale laica rimase sostanzialmente inalterata e fu, dal più al meno, quasi ovunque identica sia in Italia sia negli altri Stati europei, come ne fanno fede gli Statuti di Bologna del 1561, quelli di Ferrara del 1566, quelli di Milano, di Roma, delle Marche, ecc…, del secolo XVII, i Bandi fiorentini del 1542, del 1558 e del 1699, le Prammatiche siciliane del 1504, la Costituzione criminale carolina di Carlo V, quella teresiana di Maria Teresa, l’Ordinanza Regia portoghese, la Nova Recopilation spagnola, ecc… […]. A loro volta, gli Statuti Fiorentini, “aborrendo la putredine di quell’enorme crimine che è il vizio sodomitico, e volendo provvedere all’estirpazione di questo crimine, avevano sancito l’istituzione di otto Officiales Honestatis, i quali duravano in carica sei mesi ed erano specificamente deputati alla repressione di tale reato» [34].
La progressiva vanificazione della repressione legale
Nel corso dei secoli, le prescrizioni contro l’omosessualità, adeguandosi al suo diffondersi o estinguersi, diventarono di volta in volta più o meno severe, ma sempre efficaci. Nella nostra epoca però, col diffondersi della mentalità relativista e di una nuova morale libertaria e permissiva, le leggi in difesa della pubblica moralità sono state via via sempre più disattese, fino a diventare quasi del tutto inefficaci; in molte legislazioni sono state addirittura ufficialmente abrogate. In particolare, le prescrizioni riguardanti il peccato contro natura sono oggi quasi dappertutto scomparse, e la pratica omosessuale non è più considerata, per sé, come penalmente perseguibile. Non si era mai arrivati tuttavia ad un capovolgimento della della tradizione giuridica dell’Occidente cristiano simile a quello operato dal Parlamento Europeo con la risoluzione A3-0028/94 approvata l’8 febbraio 1994 nella quale l’Assemblea di Strasburgo chiede agli Stati Membri di «aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelle eterosessuali» compresi i diritti e i privilegi del matrimonio e la possibilità di adottare i bambini. La risoluzione invita inoltre gli Stati Membri a «intraprendere campagne in cooperazione con le organizzazioni nazionali delle lesbiche e dei gay, contro tutte le forme di discriminazione sociale nei confronti degli omosessuali». L’omosessualità cessa di essere una infrazione alla legge positiva e naturale, per divenire uno stile di vita e un modello di comportamento da estendere progressivamente a tutte le società. La promozione pubblica dell’omosessualità costituisce secondo la morale cattolica una colpa molto più grave della sua pratica privata. Essa rappresenta infatti l’approvazione ufficiale, da parte della autorità civile, di un peccato che dovrebbe essere invece pubblicamente condannato in nome del bene comune. Se nel passato gli ambienti omosessuali si limitavano a praticare il loro vizio, senza aspirare ad una giustificazione morale o ad una pubblica legalizzazione, è proprio questo che oggi essi pretendono di ottenere dai governi e persino dalla Chiesa.
Fattisi forti della tolleranza ottenuta nel corso del nostro secolo, tolleranza che ne ha aumentato il numero e l’influenza anche politica, oggi i circoli omosessuali organizzati pretendono di conquistare una posizione giuridica che consentirebbe loro di imporre all’opinione pubblica l’accoppiamento contro natura come una «scelta di vita» che deve godere di dignità, propaganda e favori pari a quelli finora tributati alla sola unione secondo natura. Il Magistero della Chiesa, nel condannare espressamente e ripetutamente la pratica omosessuale, a maggior ragione respinge con sdegno la proposta di legalizzare in qualsiasi forma le unioni contro natura.
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NOTE
1 Estratto dall’opera Chiesa e omosessualità, CCL, Roma 1995, a cura di FABIO BERNABEI.
2 Cfr. SAN PIO X, Lettera Enciclica Singulari quadam.
3 Cfr. PIO XII, Lettera Enciclica Humani Generis.
4 Cfr. TERTULLIANO, Apologetico, § 40.
5 Cfr. P. OROSIO, Historiæ eccles., I, 5.
6 Cfr. Pionio, Le gesta dei martiri, pagg. 112-113.
7 Cfr. SANT’AGOSTINO, Confessioni, cap. III, pag. 8.
8 Cfr. SAN GREGORIO MAGNO, Commento morale a Giobbe, XIV, 23, vol. II, pag .371.
9 Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. XXXXVII, coll. 360-362.
10 Cfr. SAN PIER DAMIANI O.S.B., Liber Gomorrhanus, in Patrologia Latina, vol. CXXXV, coll. 159-190.
11 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO O.P., Summa Theologica, II-II, q. 142, a. 4.
12 Ibid., q. 154, a. 12.
13 Cfr. SANTA CATERINA DA SIENA, Dialogo della divina Provvidenza, cap. 124.
14 Cfr. SAN BONAVENTURA, Sermone XXI, In Nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, in Opera Omnia, vol. IX, pag. 123.
15 Cfr. SAN BERNARDINO DA SIENA O.F.M., Predica XXXIX, in Prediche volgari, pagg. 896-897 e 915.
16 Cfr. SAN PIETRO CANISIO S.J., Summa Doctrina Christianæ, III a/b, pag. 455.
17 Cfr. Canones Apostolorum et Conciliorum, pars altera, pag. 11.
18 Cfr. Conciliorum œcumenicorum collectio, vol. XII, col. 71.
19 Ibid., vol. XII, col. 264.
20 Ibid., vol. XXII, coll. 224 e ss.
21 Cfr. SAN PIO V, Costituzione Cum primum, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, vol. IV, cap. II, pagg. 284-286.
22 Cfr. SAN PIO V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, vol. IV, cap. III, pag. 33.
23 Cfr. SAN PIO X, Catechismo maggiore, nº 966.
24 Ibid., nº 967.
25 Cfr. R. NAZ, Traité de Droit Canonique, vol. IV, lib. V, pag. 761.
26 Cfr. Canone 2359, § 2; R. NAZ, op. cit., vol. VII, coll. 1064-1065.
27 Cfr. Corpo del Diritto, vol. II, 1. 9, § 31.
28 Cfr. Codex Theodosianus, IX, 7, 6.
29 Cfr. GIUSTINIANO IMPERATORE, Institutiones juris civilis, nov. LXXVII, c. 1, proemio e §§ 1-2.
30 Cfr. Monumenta Germaniæ Historica, lib. III, tit. V, cap. 5.
31 Ibid., cap. 7.
32 Ibid., lib. VII, cap. 273.
33 Add. IV, c. 21.
34 Cfr. P. A. D’AVACK, «L’omosessualità nel Diritto Canonico», in Ulisse, Anno VII, fasc. 18, primavera 1953, pagg. 682-685.
(radiospada.org - Centro Studi san Giorgio)
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