"Tacete, o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne parlare?"
La vita
Scolastica nacque attorno al 480 da una nobile famiglia di Norcia, in Umbria, in un paesaggio che aiutava la contemplazione di Dio attraverso il creato.
Sorella gemella di san Benedetto, fin da bambina aveva avuto una particolare attrazione per la vita consacrata a Dio. La preghiera, pura e ardente, e il desiderio del Cielo erano molto forti in lei. Il legame con Benedetto andava sempre più rafforzandosi grazie alla scelta comune della vita monastica che li rendeva in Cristo un’unica anima. Ella fu la prima monaca benedettina, in quanto fondò un monastero vicino a Piumarola, dando origine all’Ordine delle Benedettine, ramo femminile del medesimo ordine maschile fondato dal fratello.
Sorella gemella di san Benedetto, fin da bambina aveva avuto una particolare attrazione per la vita consacrata a Dio. La preghiera, pura e ardente, e il desiderio del Cielo erano molto forti in lei. Il legame con Benedetto andava sempre più rafforzandosi grazie alla scelta comune della vita monastica che li rendeva in Cristo un’unica anima. Ella fu la prima monaca benedettina, in quanto fondò un monastero vicino a Piumarola, dando origine all’Ordine delle Benedettine, ramo femminile del medesimo ordine maschile fondato dal fratello.
Da monaca era solita fare visita al fratello una volta all’anno. San Gregorio Magno così descrisse l’incontro:
“L’uomo di Dio scendeva ad incontrarla in una dipendenza del monastero, non molto lontano dalla porta. Trascorsero l’intera giornata nella lode divina e in colloqui spirituali, e quando ormai stava per calare l’oscurità della notte, presero cibo insieme. Sedevano ancora a mensa conversando di cose sante, e ormai s’era fatto tardi, quando la monaca lo supplicò dicendo: «Ti prego, non lasciarmi questa notte; rimaniamo fino al mattino a parlare delle gioie della vita celeste». Ma egli rispose: «Che dici mai, sorella? Non posso assolutamente trattenermi fuori dal monastero». Il cielo era di uno splendido sereno: non si scorgeva neppure una nuvola.
Udito il rifiuto del fratello, la monaca pose sulla mensa le mani intrecciando le dita e reclinò il capo su di esse per invocare il Signore onnipotente. Quando rialzò la testa, si scatenarono tuoni e lampi così violenti e vi fu un tale scroscio di pioggia, che né il venerabile Benedetto, né i fratelli che erano con lui poterono mettere piede fuori della casa in cui si trovavano. La vergine consacrata, reclinando il capo sulle mani, aveva sparso sulla mensa un tale fiume di lacrime da volgere in pioggia, con esse, il sereno del cielo. E la pioggia torrenziale non seguì di qualche tempo la sua preghiera, ma fu ad essa simultanea, a tal punto che mentre ancora la donna alzava il capo dalla tavola, già scoppiava il tuono; tutto avvenne nel medesimo istante; col sollevare del capo la pioggia incominciò a scrosciare.
L’uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e tanta inondazione di acqua non poteva affatto ritornare al monastero, cominciò a rammaricarsene e, rattristato, le disse: «Dio onnipotente ti perdoni sorella. Che hai fatto?». Ma ella rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il Signore, ed Egli mi ha esaudita. Ora esci, se puoi; lasciami pure e torna al monastero».
Ma egli non potendo uscire, fu costretto a rimanere suo malgrado là dove non aveva voluto fermarsi di sua spontanea volontà. Passarono così tutta la notte vegliando e saziandosi reciprocamente di sante conversazioni concernenti la vita dello spirito. Il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.
Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi vide l’anima della sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli. Ripieno di gioia, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che aveva preparato per sé. Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un’anima sola in Dio.”
Udito il rifiuto del fratello, la monaca pose sulla mensa le mani intrecciando le dita e reclinò il capo su di esse per invocare il Signore onnipotente. Quando rialzò la testa, si scatenarono tuoni e lampi così violenti e vi fu un tale scroscio di pioggia, che né il venerabile Benedetto, né i fratelli che erano con lui poterono mettere piede fuori della casa in cui si trovavano. La vergine consacrata, reclinando il capo sulle mani, aveva sparso sulla mensa un tale fiume di lacrime da volgere in pioggia, con esse, il sereno del cielo. E la pioggia torrenziale non seguì di qualche tempo la sua preghiera, ma fu ad essa simultanea, a tal punto che mentre ancora la donna alzava il capo dalla tavola, già scoppiava il tuono; tutto avvenne nel medesimo istante; col sollevare del capo la pioggia incominciò a scrosciare.
L’uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e tanta inondazione di acqua non poteva affatto ritornare al monastero, cominciò a rammaricarsene e, rattristato, le disse: «Dio onnipotente ti perdoni sorella. Che hai fatto?». Ma ella rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il Signore, ed Egli mi ha esaudita. Ora esci, se puoi; lasciami pure e torna al monastero».
Ma egli non potendo uscire, fu costretto a rimanere suo malgrado là dove non aveva voluto fermarsi di sua spontanea volontà. Passarono così tutta la notte vegliando e saziandosi reciprocamente di sante conversazioni concernenti la vita dello spirito. Il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.
Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi vide l’anima della sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli. Ripieno di gioia, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che aveva preparato per sé. Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un’anima sola in Dio.”
Curiosità
La Chiesa ricorda e celebra Scolastica come Santa, anche se di lei ben poco sappiamo, così come analogamente ben poco viene descritto della vita di grandi santi, o come del S. Patriarca Giuseppe, padre putativo di nostro Signore Gesù Cristo. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa San Gregorio Magno. Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale. Il loro incontro che è stato riportato qui sopra è l’unico punto dei Dialoghi in cui si trovano insieme i due fratelli.
Il contesto in cui essi si ritrovano è piuttosto tragico: infatti in quegli anni (542 circa) l’Italia era contesa tra i Bizantini e i Goti, Roma si era arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio. A Montecassino passano vincitori e vinti: passa Totila, il re goto, per la fama di Benedetto, e passano anche le vittime della violenza.
(Elisabetta Tribbia)
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