CHIESA E IMMIGRAZIONE/8: LA CHIESA E IL CUORE DEL PROBLEMA


Le polemiche al calor bianco sull’immigrazione hanno messo in luce ancora una volta (se ce ne fosse bisogno) quello che il pensatore cattolico Thomas Molnar sosteneva da anni: «La Chiesa oggi si allinea al mondialismo, nuova religione dei secoli a venire». Per giunta, aggiungiamo noi, spacciando per cristianesimo quello che ormai ne è – e lo diciamo con la morte nel cuore – una misera contraffazione.
Da questo punto di vista l’immigrazionismo, l’ecumenismo sincretista e i richiami di Ratzinger (nella “Caritas in Veritate”del 2009) e di Bergoglio (nella “Laudato si’” del 2015) ad un’unica autorità mondiale (vecchia idea già presente nella giovannea “Pacem in Terris” del 1963), sono strettamente legati. Compongono, in un tutto, l’adesione dell’attuale Chiesa Cattolica al mondialismo. Cerchiamo di capire.

Il clero immigrazionista - Oggi la Chiesa immigrazionista di Galantino e Scola, di Tettamanzi e Poletto, di Crociata e Marchetto, di Vegliò e Perego, di Mogavero e Martino, di Moraglia e Nosiglia, di Montenegro e Pizziol, di Bregantini e Breschi, di Peri e Nogaro, di Sebastiano Dho e Arrigo Miglio, di Gardin e Bottazzi, di Cantisani e Tessarollo (il vescovo che rifiuta persino il crocifisso nelle scuole) continua a predicare l’accoglienza di centinaia di migliaia di immigrati, senza limiti di alcun tipo. E chi non si adatta viene accusato da questi signori, a volte in maniera poco consona alla carità che il loro abito gli imporrebbe, di non essere cristiano. È la nuova dottrina coniata a inizio anni Novanta dai loro precursori Martini ed Etchegaray, che prospettavano le presunte gioie e le ricchezze della società multiculturale e l’apertura delle frontiere all’universo mondo.
Naturalmente ho citato solo i principali ecclesiastici italiani che in questi anni si sono espressi frequentemente per l’apertura incondizionata delle frontiere ai cosiddetti “migranti”, ma l’episcopato del resto dell’Europa occidentale non è certo da meno. Basti pensare alla opposizione militante dei vescovi svizzeri al referendum del 2009 che mise un alt al proliferare dei minareti nella Confederazione Elvetica. Di questa dottrina mondialista oggi il primo cantore, anche per importanza gerarchica e mediatica, è naturalmente Jorge Bergoglio, Francesco I, principe degli immigrazionisti e vera pompa aspirante, dal suo viaggio a Lampedusa, con le sue parole e coi suoi gesti, dell’immigrazione di massa in Italia.

Questa Chiesa non è tanto “comunista” (come efficacemente ma imprecisamente Matteo Salvini ha etichettato l’aggressivo monsignor Galantino), quanto “modernista” e “mondialista”. Il modernismo, “cloaca di tutte le eresie”, secondo San Pio X, ha partorito nella Chiesa il mondialismo, che nulla ha a che vedere con la dottrina ecclesiastica tradizionale e neanche con il Vangelo. Il mondialismo in generale (e l’immigrazionismo, che ne è una faccia), sono dottrine ufficiali od ufficiose dell’ONU, delle grandi organizzazioni internazionali, della sinistra politica (sia terzomondista che atlantista), e non dispiacciono nemmeno alla destra economica dei finanzieri e delle multinazionali (come possono infatti dispiacere a chi considera gli uomini aritmeticamente, sotto il profilo dell’economia, quindi intercambiabili)? È l’ideologia universalista che pretende di superare tutte le frontiere, tutti i muri, tutte le divisioni e persino le distinzioni e le differenze tra gli uomini, in nome dell’egualitarismo e dei diritti umani contenuti nella Dichiarazione della Nazioni Unite del 1948. E che si propone di creare uno Stato mondiale omogeneo, o perlomeno un’unica autorità mondiale per tutti i popoli, che dovranno seguirne docilmente le direttive. In questa visione, se i popoli tra loro si mischiano perdendo la loro identità e la loro fisionomia culturale non si tratta soltanto di un ininfluente incidente di percorso, ma addirittura lo strumento necessario perché il mondo diventi davvero Uno, politicamente, economicamente , culturalmente, religiosamente (anche se si tratterebbe con tutta evidenza di una sottocultura livellata incapace di esprimere l’autentica grandezza dell’uomo). Lo Stato universale omogeneo non sarebbe l’inizio di una nuova cultura, ma semplicemente la tomba delle differenze, la cui distruzione si è ampiamente avviata con la globalizzazione tecnico-mercantile del mondo.

Perché l’immigrazionismo non è cristiano
- Ci sono almeno due motivi per ritenere l’immigrazionismo sbandierato dall’attuale clero cattolico, a partire dai più alti livelli, come una falsificazione dell’autentico messaggio cristiano. Il primo riguarda lo stesso Vangelo. L’immigrazionismo clericale si maschera di carità evangelica, ripetendoci a iosa il passo evangelico di Matteo 25,43 : «… Ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato…». Da questa esortazione evangelica discenderebbero l’obbligo di accoglienza indiscriminata, o quasi, di milioni di persone provenienti in Europa dall’Africa e dall’Asia. Tra l’altro senza distinzione alcuna, nemmeno quella religiosa in favore degli immigrati cristiani, come raccomandavano il cardinale Giacomo Biffi e monsignor Alessandro Maggiolini. Sarebbe quindi come dire, rimanendo al Vangelo di Matteo, avendo detto Nostro Signore: «A chi ti percuote sulla guancia porgi anche l’altra, a chi ti leva il mantello non dimenticare la tunica» (Mt, 5,39), che gli Stati dovrebbero rinunciare, in caso di guerra, alla difesa da un’aggressione straniera. È chiaro che il Cristo si riferiva, in entrambi i casi, al singolo cristiano, non allo Stato. Infatti la dottrina tradizionale della Chiesa Cattolica non ha mai trasposto gli obblighi della carità individuale allo Stato, ma ha ancorato lo Stato al rispetto della legge naturale (che non sono i diritti umani) e al bene comune. Ed il bene comune di qualsiasi comunità politica, ovvero comune a tutti i cittadini, implica per prima cosa una distinzione iniziale tra chi è cittadino e chi non lo è, nel nostro caso tra italiani e stranieri, distinzione che il clero conciliare si rifiuta di fare in nome dell’ideologia cosmopolita non cristiana (perché antropocentrica e individualista) dei diritti umani. La dottrina dei diritti umani, prima per un secolo e mezzo abbondante condannata, poi assunta nella Chiesa ufficialmente per la prima volta con l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963) ha rapidamente soppiantato la dottrina tradizionale cattolica del bene comune, anche se non manca mai, nel fumoso e vuoto discorso del buon vescovo modernista, qualche riferimento a un non precisato “bene comune”, che il più delle volte implica sempre un appello all’assistenzialismo statale in nome di qualche clientela da difendere. E tornando all’argomento specifico, quale bene comune si possa trarre dall’arrivo di milioni di persone straniere, tra l’altro senza lavoro, rimane davvero un mistero. Il risultato è naturalmente il caos, ispirato da quella “furia del dileguare”, di decomporre culturalmente, socialmente, etnicamente e persino religiosamente i popoli europei che tanto piace ad ex “compagni”e progressisti vari. Siamo all’odio per le radici, le identità, la cultura dei popoli europei. E siamo ad un simulacro di cattolicesimo, ad una sua parodia. Il fine della Chiesa Cattolica – i prelati prima citati l’hanno completamente dimenticato – non è mischiare i popoli, ma convertirli. Cristo non ha annunciato la cosmopolisegualitaria, cari vescovoni sopra citati, ma il Regno dei Cieli, ammesso che ancora vi crediate. Sembrerebbe di no.

Secondo motivo per cui l’immigrazionismo non è cristiano
- Non è un caso che l’immigrazionismo del clero conciliare non piaccia per niente ai cattolici tradizionalisti, cioè a quei cattolici che continuano a rifarsi alla dottrina di sempre della Chiesa. Tra i tanti “tradizionalisti” che ho incontrato non ne ho mai trovato uno che valutasse favorevolmente l’immigrazione di massa. E qui arriviamo dritti al secondo motivo per il quale l’immigrazionismo non è cristiano, ed è un motivo anche direttamente religioso. In un’ Europa che si secolarizza, in cui anche le masse un tempo fedeli al cattolicesimo si sono in gran parte allontanate dalla fede, mentre le élite sembrano persino guidate, in larga parte, da un furore anticristiano, continuano ad arrivare in Europa immigrati di fede musulmana. A prescindere dal reale pericolo del terrorismo islamico e senza volere demonizzare tutti i musulmani (chi scrive non si ritiene un emulo della Fallaci), il problema della presenza di altre religioni sul suolo italiano ed europeo, a cominciare proprio dall’islam, è un problema reale. È realistico prevedere che nei prossimi decenni l’islam sarà sempre più forte e più presente in Europa, mentre il cristianesimo sarà sempre più debole, finché non si giungerà alla realizzazione del sogno laicista di una quasi completa marginalizzazione del cattolicesimo nelle terre di quella che fu la Christianitas. Ebbene, il clero immigrazionista non solo non sembra temere questo probabile scenario, ma sembra addirittura auspicarlo! Il clero conciliare sembra completamente preso da un desiderio masochistico di cupio dissolvi che è lo stesso che caratterizza la nostra civiltà.

La Chiesa che odia il proprio passato - Fino a Pio XII, infatti, la Chiesa Cattolica si era sempre dichiarata orgogliosa della propria storia, del proprio passato, della propria identità. Dopo il Concilio Vaticano II sono arrivati il pentitismo e la vergogna di sé. Portati poi all’apice da quel pontefice, per ventisette anni regnante, che non smise mai di chiedere scusa per il passato della Chiesa. E che non a caso è stato lo stesso che baciò il corano, benedisse l’islam invocando San Giovanni il Battista, pregò per due volte nella moschea di Damasco (seguito poi dai suoi due successori ancora in vita, che fecero lo stesso in quella di Istanbul). “Il nostro Dio è lo stesso”, dicono oggi i pontefici ai musulmani e agli ebrei. Sul modello di Assisi 1986, la Chiesa oggi pare volere lentamente dissolversi in un sincretismo senza frontiere, né teologiche né geografiche.

Ciò che non si può accettare è che si gabellino il mondialismo e l’immigrazionismo per cristianesimo. È che si accusino, di conseguenza, di mancanza di cristianesimo coloro che vi si oppongono È l’ennesima furfanteria intellettuale perpetuata sulla pelle dei cattolici e dei popoli europei. L’immigrazionismo cattolico è l’ultima eresia, un’eresia del tutto funzionale alla globalizzazione e al progetto mondialista dello Stato mondiale omogeneo. Tocca ai laici cattolici ricordare ai Pastori il loro dovere, rifiutando il mondialismo e difendendo l’identità culturale e religiosa dei popoli cristiani. Ormai tocca ai laici salvare la Chiesa dai tradimenti dottrinali e politici di questo clero.

Le responsabilità del Concilio
- È stato il Concilio Vaticano II a mettere l’uomo, l’uomo astratto, cioè l’individuo, al centro della sua visione. ÈE’ stato il Concilio Vaticano II a sposare nella “Dignitatis humanae” e nella “Lumen gentium” l’umanesimo moderno, l’individualismo antropocentrico dell’uomo senza appartenenze. È stato il Concilio Vaticano II a guardare con simpatia “l’uomo che si fa Dio” (secondo le stesse parole di Paolo VI), che proprio per dare l’assalto al Cielo non può pensarsi che nei termini dell’universalismo, rifiutando il particolare e quindi la propria finitezza. Ecco quindi l’ideologia dei diritti umani (accettata già da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris) che in nome dell’uguaglianza e della dignità dell’uomo lo amputa della sua natura sociale. Ma un uomo a cui viene negata la sua natura sociale e comunitaria, sulle orme del liberalismo moderno, è un uomo che stenta a comprendere ed accettare tutto ciò che lo precede e trascende, a partire dal ruolo della Chiesa fino all’esistenza di Dio. E non a caso la Chiesa conciliare è anche quella che ha rivalutato quel processo di sovversione anticattolica che fu il Risorgimento italiano. Come non ricordare i duri moniti degli anni Novanta, da parte dei Piovanelli, dei Ruini, dei Tettamanzi e dello stesso Wojtyla contro il “particolarismo” e il federalismo, in nome di una concezione “giacobina”, centralista e statalista dell’unità nazionale, motivata più dalla difesa delle clientele democristiane che dalla dottrina sociale della Chiesa, che al contrario non dovrebbe temere il pluralismo territoriale ispirato alla sussidiarietà? E così abbiamo assistito a continui peana al Risorgimento, fino allo spettacolo del cappello da bersagliere indossato da Benedetto XVI, completa resa morale postuma agli invasori di Porta Pia.

L’omologazione mondialista - Gli uomini sono tutti uguali in dignità, certamente, a prescindere dalle differenze. Allo stesso tempo gli uomini sono anche diversi. Non solo non esistono due uomini uguali nemmeno nella stessa famiglia, ma tanto più gli uomini si distinguono per storia, per tradizioni, per cultura, non meno che per tratti somatici e differenze genetiche. Ed anche, in gran parte, per appartenenza religiosa. Crediamo davvero che il culmine dell’umanità sarà raggiunto solo quando tutte queste differenze verranno negate? Non è forse quanto pretendono, in ambito diverso, anche i sostenitori del gender (o teoria queer che dir si voglia)? Non si tratta anche in quel caso di volere negare le differenze sessuali costitutive tra maschio e femmina? Come opporsi al gender se se ne condivide l’egualitarismo radicale? E questo processo di negazione delle differenze non è complementare all’affermazione dell’uomo a taglia unica forgiato dalla globalizzazione e dalla società dell’avere e dello spettacolo? Non è forse caratterizzato dalla stessa logica del processo di omologazione messo in atto dalla società dei consumi e dalla civilizzazione planetaria? Non appartiene forse alla stessa logica dell’anticristico Nuovo Ordine Mondiale basato sui “diritti” e sull’americanismo senz’anima? Sulla martellante imposizione dell’american way of life e sul meticciato generalizzato, sul primato della merce e del denaro, sul modello di un individuo-consumatore senza radici concepito esclusivamente come “cittadino del mondo”? Ma il mondo non è e non può essere una Città. La cosmopolis egualitaria che la gerarchia ecclesiastica sembra sognare insieme agli orfani del socialismo e ai padroni della finanza e dell’economia, può essere vista cristianamente solo come quella Città dell’Uomo che Sant’Agostino contrapponeva alla Città di Dio. E non è affatto un caso che questa contrapposizione agostiniana per monsignor Galantino “deve essere superata”, come ha affermato in una intervista al “Corriere della Sera”. Sant’Agostino, come San Tommaso, non si adatta alla nuova religione del mondialismo.

Soltanto riconciliandosi con la propria storia la Chiesa tornerà a rispettare le identità storiche, etniche e culturali, comprendendo che l’uomo e il cristiano sono esseri particolari aperti all’universale, e che la loro particolarità è condizione necessaria per aprirsi alla trascendenza. Soltanto ritornando alla propria Tradizione sacrale la Chiesa comprenderà di nuovo l’importanza delle radici per quest’essere particolare aperto all’universale che chiamiamo uomo. Soltanto tornando al sacro e alla trascendenza divina e rifiutando l’antropocentrica religione conciliare dell’uomo astratto che è soltanto individuo, la Chiesa tornerà ad essere luce per indicare la via ad un’umanità sempre più perduta nella notte del mondo.

(Martino Mora - civiltacristiana.com)

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