CHIESA E IMMIGRAZIONE/3: LE PAROLE DEL CARD.GIACOMO BIFFI


Dobbiamo riconoscere che siamo stati tutti colti di sorpresa.
E’ stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l’impressione di smarrimento; e pare non abbia ancora recuperato la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri dell’ordinata convivenza civile. I provvedimenti, che via via vengono predisposti, sono eterogenei e spesso appaiono contradditori: denunciano la mancanza di una qualche progettualità e, più profondamente, denotano l’assenza di una corretta e disincantata interpretazione di ciò che sta avvenendo. Non vediamo che ci sia una “lettura” abbastanza penetrante dei fatti, tale che sia poi in grado di suggerire, sviluppare e sorreggere un indirizzo coerente e saggio di comportamento.

Sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane, ammirevoli in molti casi nel prodigarsi prontamente ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale e abbastanza concorde, in grado di ispirare valutazioni e intenti operativi che tengano conto di tutte le implicazioni degli avvenimenti e di tutti gli aspetti della questione. Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica – che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi doverose – si dimostrano più generose e ben intenzionate che utili, se rifuggono dal commisurarsi con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale.

LE CINQUE VIE PER PROVARE L'ESISTENZA DI DIO


L’esistenza di Dio si può provare per cinque vie.
La prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. E’ certo infatti, e si sa dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto è atto. Muovere infatti significa trarre qualcosa dalla potenza all’atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all’atto se non mediante un essere che è già in atto. Per esempio, il fuoco che è caldo attualmente rende caldo in atto il legno, che era caldo solo potenzialmente, e così lo muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto in atto e in potenza: lo può essere soltanto sotto diversi rapporti: così ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza ma è insieme freddo in potenza. E’ dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. E’ quindi necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all’infinito perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore, che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.

ELEMENTI DI CATECHESI - 5: IL PARADISO

Che cos’è il Paradiso?
Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.

Si è detto che il fine ultimo dell’uomo è godere eternamente Dio in Paradiso. Vediamo dunque che cosa ci riserverà il Signore Nostro se durante questa vita terrena siamo stati a Lui fedeli.
San Pietro sul monte Tabor contemplò per alcuni momenti la gloria di Gesù Cristo e ne fu inebriato. Fuori di sé per il gaudio, domandò di restare sempre in quella beatitudine celeste (v. Mt 17, 1 - 8). Se bastò un raggio della gloria di Cristo per trarre Pietro e gli altri discepoli in un’immensa gioia, che cosa sarà il Paradiso, dove si contempla eternamente il fulgore della gloria di Dio?

Su questa terra, non è possibile la felicità o la beatitudine perfetta e definitiva, che invece è riservata al Cielo. Le creature o gli oggetti non possono renderci infinitamente felici e non possono appagare la nostra sete di beatitudine eterna: sono troppo piccole, troppo limitate nello spazio e nel tempo per soddisfare il nostro desiderio di Verità e di un Bene infinito!

Riflettiamo anche che siamo felici quando possediamo ciò che desideriamo: come dunque potremo essere eternamente felici se, nel momento della nostra morte, dovremo abbandonare tutto? A che cosa ci sarà giovato acquistare tanti beni se poi essi si deterioreranno nel tempo e noi dovremo abbandonarli?